Legge per il mercato e la concorrenza, una pioggia di emendamenti alla Camera
La tutela e la promozione della concorrenza sono fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica, per proteggere gli interessi dei consumatori e per creare una maggiore giustizia sociale aumentando le possibilità di accedere al mercato.
La concorrenza si tutela e si promuove anche attraverso la revisione di leggi e regolamenti che ostacolano il buon funzionamento del mercato. La legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata adottata solo nel 2017 e la sua cadenza annuale va assicurata, perché è fondamentale per rivedere lo stato della legislazione e verificare se permangano vincoli normativi che ostacolano ingiustificatamente la competitività e l’innovazione.
Ora, dopo l’approvazione dell’esecutivo del nuovo ddl, ci sono centinaia di emendamenti che dovranno essere affrontati alla Camera, presentati soprattutto dall’opposizione (455), ma anche dalla maggioranza (171).
In particolare, il capitolo dedicato all’ecosistema delle startup e delle piccole e medie imprese (Pmi) innovative, si presenta come finalizzato alla crescita delle imprese ad alto contenuto tecnologico e innovativo, per creare nel contempo nuove opportunità per gli investitori istituzionali e privati.
Questo sulla carta, perché poi nei fatti l’Italia sta diventando un Paese che non innova più, come certificato dal Global Innovation Index 2024, di cui vedremo meglio i risultati di seguito.
Come cambieranno le startup in Italia
Ma andiamo per ordine. Nel capitolo dedicato alle imprese, intanto si cambia la definizione di startup, che deve rientrare in quella più generale di impresa di piccole e medie dimensioni.
Entro due anni dall’iscrizione nell’apposita sezione del Registro delle Imprese, il capitale sociale non deve essere inferiore ai 20 mila euro e avere almeno un dipendente. Le imprese interessate hanno 24 mesi di tempo per adeguarsi.
Un primo ostacolo che il legislatore sulla carta vuole aiutare a superare consentendo intanto di versare solo il 25% del capitale sociale richiesto al momento dell’iscrizione al Registro.
Mossa che tende a ‘scremare’ fin dall’inizio chi ha i mezzi per andare avanti, da chi non si mostra così solido dal punto di vista finanziario e si suppone quindi non sia in grado di affrontare il mercato e le sue sfide.
Poi c’è la questione delle privative industriali (strumenti attraverso i quali è possibile valorizzare e tutelare le creazioni intellettuali e industriali, come il marchio, il brevetto per invenzioni e il diritto d’autore): prima era sufficiente che una startup ne fosse proprietaria o depositaria, ora deve utilizzare concretamente questi strumenti nel proprio business.
Il problema sarà come dimostrare di essere in grado e di utilizzare concretamente queste privative nelle proprie attività.
Promozione degli investimenti in startup innovative
Si propone di aumentare la percentuale deducibile degli investimenti nel capitale sociale delle startup innovative, fino all’85% per le persone fisiche e le società, con limiti massimi deducibili: “l’85 per cento della somma investita nel capitale sociale di una start-up o di una piccola o media impresa innovativa, o in Fondi per il Venture Capital (FVC), fondi promossi da incubatori certificati, da reti di professionisti o da società di investimento, direttamente o per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che effettuino almeno il 50 per cento dei propri investimenti in start-up innovative, non concorre alla formazione del reddito dei soggetti passivi delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle società […] l’investimento massimo deducibile non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di 5 milioni di euro per le persone fisiche e di 25 milioni di euro per le società, purché l’investimento sia mantenuto per almeno tre anni”.
Per qual che riguarda la “Detrazione fiscale per investimenti”, si propone che gli investitori in startup e PMI innovative, compresi gli enti di previdenza obbligatoria e i fondi pensione, possano beneficiare di detrazioni fiscali sugli investimenti, con diverse percentuali a seconda del tipo di investimento e del soggetto investitore.
Nello specifico, “purché almeno il 10 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente abbia a oggetto gli investimenti in quote o azioni di Fondi per il Venture Capital”.
Il Fondo dei fondi e i finanziamenti a fondo perduto
Per favorire l’accesso delle startup e delle Pmi innovative ai finanziamenti è proposta l’istituzione di nuovi fiondi dedicati, per il cofinanziamento degli investimenti in start-up innovative e per il sostegno ai progetti di ricerca e sviluppo.
Al fine di promuovere lo sviluppo degli investimenti nelle startup innovative, “è istituito un apposito Fondo con una dotazione di 225 milioni di euro annui a decorrere dal 2024”.
Di questo, 125 milioni di euro annui dovrebbero essere destinati al cofinanziamento, “fino al massimo dello stesso ammontare di capitale apportato da privati, degli investimenti diretti all’acquisizione di quote o di partecipazioni in fondi”.
Altri 80 milioni di euro saranno destinati alla concessione di finanziamenti a fondo perduto per progetti di investimento effettuati da soggetti residenti e non residenti “che intendono costituire una startup innovativa nel territorio dello Stato italiano, per un ammontare non superiore a 500.000 euro per ogni progetto, a condizione che l’attività prevalente dell’impresa si svolga sul territorio nazionale per un periodo di almeno tre anni a decorrere dalla data di erogazione del finanziamento”.
Una quota delle risorse del Fondo, pari a 20 milioni di euro annui, dovrebbe esser destinata, “al fine di rafforzare la qualità dei servizi forniti dalle startup e PMI innovative, alla concessione di contributi fino al 70 per cento della spesa sostenuta per l’acquisizione di prestazioni di consulenza da parte dei soggetti iscritti nel Registro”.
L’Italia non innova, siamo in coda ai Paesi del G7 e alle principali economie europee
E ora arriviamo al confronto con il mondo oltre l’Italia. Inutile dire anche le cose più ovvie, nelle economie più avanzate, anche solo prendendo in considerazione l’Europa, per avviare una startup bastano pochi passaggi online. Da noi invece le cose si complicano, figuriamoci per chi viene da fuori.
Ma i problemi per gli innovatori nostrani sono ben altri e di diverso spessore. Secondo l’aggiornamento del Global Innovation Index 2024 di WIPO (World Intellectual Property Organization), occupiamo ormai stabilmente il 26° posto, quindi molto lontani dai Paesi europei più sviluppati (16° posto) e dalle economie più avanzate e dai Paesi G7 (occupiamo infatti il 25° posto).
Andiamo malissimo in infrastrutture strategiche, dalle strade alle scuole, passando per l’efficienza energetica, in capitale umano e ricerca, in investimenti in ricerca e sviluppo, in capacità di attrarre investimenti diretti esteri, in capacità del Paese di favorire l’avviamento di un’impresa.
Alla voce “Business Environment” occupiamo l’80° posto nella classifica mondiale di WIPO.
Solo per citare le voci principali. Poi ci sono i settori in cui ce la caviamo meglio: “Creativity Output” (marchi a valore aggiunto, applicazioni di design industriale, applicazioni di marchi) e “Conoscenze e tecnologia” (domande di brevetto, aumento della produttività del lavoro, spesa per software), dove occupiamo rispettivamente il 18° e il 19° posto.
La migliore performance del Paese è alla voce “Industrial Designs by Origin”, dove gli italiani sono maestri e dove si certifica la nostra capacità di inventare e creare sempre qualcosa di nuovo e di fresco a livello internazionale. A cui però, come visto sopra, non segue un’adeguata fase realizzativa.
Alla fine del primo trimestre 2024, in Italia si contavano poco meno di 13 mila startup innovative, il 3,4% delle società di capitali, secondo dati del ministero delle Imprese e del made in Italy.
Si spera che la discussione parlamentare di questo ddl soprattutto sia in grado di fornire gli strumenti giusti all’ecosistema startup per crescere e arrivare a competere in Europa, tracciando magari la via da seguire anche per le altre imprese. Un’occasione quindi da non sprecare, anche perché (vedi il triangolo Francia-Germania-Paesi Bassi) le economie europee più avanzate ormai hanno accelerato il processo di trasformazione digitale, che fa perno proprio sulla capacità di innovare.