Durante il discorso sul piano di rilancio economico del Regno Unito, Boris Johnson ha sottolineato l’enorme potenziale inglese nel campo della tecnologia dell’idrogeno. Proponendo una ripartenza verso un futuro “migliore, più verde e più veloce”, il primo ministro britannico ha infatti espresso la convinzione che il proprio Paese potrà “dominare il mondo” in questo settore. Un maggiore utilizzo delle celle a combustibile, che permettono di ottenere elettricità da questa fonte energetica, va ricordato, darebbe la possibilità di ridurre, se non addirittura eliminare, le emissioni di gas serra.
Un’ampia gamma di veicoli ad idrogeno è già sul mercato: escavatori, automobili, autocarri e addirittura piccoli aerei, come quello a sei posti testato negli ultimi mesi a Cranfield.
Boris Johnson però non è certo stato un visionario dell’idrogeno: molti capi di Stato prima di lui hanno incentivato il progresso dei veicoli fuel cell. Già nei primi anni 2000 Bush aveva annunciato l’investimento americano di 1.2 miliardi di dollari nel campo dell’idrogeno, affermando che “le celle combustibili a idrogeno rappresentano una delle tecnologie più incoraggianti ed innovative della nostra epoca’’. Allo stesso modo anche la Germania, la Francia e l’Italia negli ultimi anni ne hanno riconosciuto i vantaggi.
Perché l’idrogeno non ha sostituito ancora i classici veicoli a combustibile su larga scala?
Sono tuttavia diverse le ragioni per cui questa tecnologia non ha ancora sostituito i classici veicoli a combustibile su larga scala. La strada verso un futuro della mobilità più sostenibile riscontra infatti diverse criticità.
Innanzitutto l’idrogeno non è una fonte rinnovabile poiché non si trova in natura, può essere prodotto attraverso diverse tecniche: tra queste la gassificazione del carbone e il trattamento chimico di idrocarburi, che non sono sicuramente processi sostenibili. Al fine di non vanificarne l’impronta verde, l’idrogeno per locomozione non deve essere ottenuto da combustibili fossili, bensì attraverso alternative basate su energia rinnovabile.
Un ulteriore svantaggio di questa tecnologia risiede nell’assenza di infrastrutture di rifornimento: è fondamentale investire nella loro costruzione per evitare di farlo rimanere un servizio di nicchia. I prezzi molto alti delle infrastrutture e dei veicoli stessi hanno sicuramente disincentivato l’affermazione dei mezzi fuel cell.
Inoltre, a causa della scarsa densità dell’idrogeno, sorge la necessità di un processo di stoccaggio, che impone ulteriori costi ed utilizzo di energia.
Nonostante gli ostacoli non siano pochi, i vantaggi della tecnologia delle celle a combustibile non vanno sottovalutati.
Esistono anche processi per generare l’idrogeno compatibili con la salvaguardia dell’ambiente, come ad esempio il trattamento delle alghe e l’elettrolisi dell’acqua. Quest’ultima tecnica, che prevede la produzione di idrogeno ed ossigeno in forma gassosa mediante la corrente che attraversa l’acqua, è in continuo progresso.
Le fuel cell rendono possibile l’assenza di combustione termica, dato che il processo si basa sulla combinazione di ossigeno ed idrogeno. Essendo Il vapore acqueo l’unico prodotto di scarto, questa tecnologia non emette sostanze inquinanti.
I vantaggi dei veicoli ad idrogeno
Inoltre, i veicoli ad idrogeno si ricaricano in pochi minuti e godono di un’elevata autonomia, in continuo miglioramento attraverso lo sviluppo di nuove tecniche, ma che ha già raggiunto il record di 778 km con la Hyundai Nexo. Questa caratteristica esprime un vantaggio dell’idrogeno anche rispetto ai veicoli elettrici, i quali utilizzano comuni batterie e impiegano più tempo a caricarsi.
Nonostante le critiche ricevute, si pensi ad Elon Musk che ha definito le fuel cell “fool cells’’ i recenti sviluppi danno ragione di pensare che l’idrogeno dovrà avere un posto fondamentale nell’economia del futuro.
La ripartenza economica a cui tutti i Paesi sono soggetti dopo l’emergenza Covid-19 potrà rappresentare un punto di svolta per l’affermazione di questa tecnologia?
Sebbene una risposta certa non si possa ancora dare, il Regno Unito è uno dei primi Paesi, insieme alla Germania, a scommettere di sì.