Intelligenza artificiale generativa, cloud, infrastrutture, banda larga. Tutti temi importanti, sia a livello nazionale che continentale, ma si tratta solo di alcuni dei capitoli di un libro molto più ampio, in cui la storia dell’innovazione è ancora da scrivere. L’Istat, nel suo ultimo rapporto “Decennio digitale 2030”, traccia una panoramica poco rosea delle competenze di base degli italiani nel 2023, con un’indagine effettuata esattamente due anni fa. L’istituto ci restituisce una situazione critica dove, nel complesso dei 27 Paesi UE, l’Italia si piazza in 23esima posizione in quanto a skill informatiche.
Ma c’è anche di peggio: siamo ultimi per laureati che occupano ruoli tecnici e per lavoratori under 35 inseriti laddove tecnologia e innovazione la fanno da padrone. In generale, i più bravi sono il Lussemburgo, Paesi Bassi e Danimarca, mentre dopo di noi solo Lettonia, Polonia, Bulgaria e Romania.
Situazione socio-economica
In Italia, come in altri Paesi europei, le competenze digitali sono associate alle caratteristiche socioculturali della popolazione. In particolare, in Italia ha competenze almeno di base in cinque domini il 59,1% dei giovani tra i 16 e i 24 anni, contro appena il 19,4% degli adulti tra 65 e 74 anni. La distanza intercorrente tra i più giovani e i più anziani è in linea con quella media europea, ma l’Italia presenta valori nettamente inferiori all’Ue27 in tutte le classi d’età.
Le competenze digitali sono caratterizzate da una disparità di genere a favore degli uomini in quasi tutti i Paesi europei (in Italia, pari a 3,1 punti percentuali). Lo svantaggio femminile, tuttavia, è presente solamente a partire dai 45 anni, mentre fino ai 44 anni le donne risultano possedere maggiori competenze digitali rispetto agli uomini. Il principale fattore discriminante insieme all’età è il grado di istruzione: in Italia, tra le persone con titolo di studio di livello universitario il 74,1% ha competenze digitali almeno di base e per questo segmento di popolazione il divario con la media Ue27 si riduce a -5,7 punti percentuali, mentre tra le persone con un titolo di studio basso, almeno la licenza media (il 22,6%) la distanza con la media Ue27 è di 11 punti percentuali.
In un contesto occupazionale comunque caratterizzato da una prevalenza maschile, nel 2023, le donne impiegate in settori ICT erano il 15,7%, contro il 19,4% della media Ue27. In questo caso, il progresso rispetto al 2019 è stato di 0,6 punti in Italia e di 1,6 punti nell’Ue27, allargando il divario.
Asse europeo
In coordinamento con gli altri Istituti europei di statistica, l’Istat da quasi vent’anni documenta lo sviluppo della società dell’informazione in Italia attraverso due indagini specifiche, una sugli individui e l’altra sulle imprese. Le stime prodotte sono utilizzate dalla Commissione europea per valutare i progressi degli Stati membri nella digitalizzazione e, dal 2021, rientrano nel sistema di monitoraggio del programma strategico europeo “decennio digitale 2030”. Tale programma è articolato in quattro assi d’intervento: capitale umano, imprese, Pubblica Amministrazione, infrastrutture. A ognuno di tali assi è associato uno specifico set di indicatori.
Uno degli obiettivi del programma europeo è di portare entro il 2030 all’80% la quota di popolazione tra i 16 e 74 anni con competenze digitali almeno di base in tutti e cinque i domini definiti dall’attuale Quadro di riferimento delle competenze digitali. Nel 2023 nel nostro Paese solo il 45,9% degli adulti possiede competenze digitali adeguate, oltre un terzo (36,1%) ha competenze insufficienti e il 5,1%, pur essendo utente di Internet, non ha alcuna competenza. Nel panorama europeo, l’Italia è uno dei Paesi con la quota più bassa di persone con competenze digitali almeno di base, con una distanza dalla media Ue27 di quasi 10 punti percentuali. Rispetto al 2021 aumenta lievemente la quota di cittadini europei con queste competenze (+1,6 punti percentuali), l’incremento più evidente si registra in Ungheria con +10 punti percentuali.
Tale andamento positivo non si rileva uniformemente visto che in 10 Paesi si riscontra una mancata crescita. In particolare, il decremento più forte si registra in Lettonia (-5,5 punti percentuali), quindi in Croazia, Slovacchia e Lussemburgo (-4 punti percentuali). Tra le grandi economie si evidenzia una flessione in Francia (-2,3 punti percentuali), una stabilità in Italia e un aumento in Germania e Spagna (+3,3 e +2 punti percentuali, rispettivamente)
Dal 2021 viene rilevato il livello di competenza digitale da parte dei cittadini europei attraverso un indicatore composito costruito su un set di attività relative all’uso di Internet in riferimento ai cinque domini (comunicazione e collaborazione, alfabetizzazione su informazioni e dati, sicurezza, risoluzione di problemi, creazione di contenuti digitali) definiti dal Quadro comune europeo di riferimento per le competenze digitali: Digital Competence Framework 2.0. Gli individui vengono così classificati con competenze adeguate se per i cinque domini si hanno competenze digitali almeno di base, basse se si hanno competenze almeno di base per quattro domini su cinque, ridotte se ne hanno in tre su cinque e limitate se ne hanno in due domini su cinque.
Tra gli occupati competenze digitali di base sotto la media Ue27
L’avere competenze digitali adeguate è un prerequisito per poter cogliere appieno le opportunità che le ICT offrono nello svolgimento delle diverse attività della vita privata, ma anche un elemento essenziale per l’accesso al lavoro e per la riqualificazione delle persone in cerca di lavoro. In Italia nel 2023 i disoccupati in possesso di competenze digitali almeno di base in tutti e cinque i domini sono il 38,7% rispetto al 47,7% della media Ue27. Il valore registrato per il nostro Paese risulta in linea con la Germania, ma distante dalla Spagna e dalla Francia di oltre 18 punti percentuali. La diffusione delle competenze digitali è significativamente più elevata tra gli occupati: in Italia, il 56,9% raggiunge un livello almeno di base nei cinque domini. Anche in questo caso, tuttavia, si osserva un divario ampio con la media dell’Ue27 (il 64,7%) e, tra le maggiori economie, con la Francia (67,5%) e la Spagna (75,4 %), mentre la Germania mostra valori poco superiori a quelli italiani.
Il settore di attività economica in cui si lavora può influenzare il livello e la tipologia di competenze. In Italia, come in altri Paesi europei, la quota più elevata di occupati con competenze digitali almeno di base si osserva nei Servizi di informazione e comunicazione e nelle Attività finanziarie e assicurative (80% circa). Segue col 76,7% l’aggregato del Settore immobiliare e dei servizi alle imprese e altre attività professionali, che si colloca davanti al settore Pubblica Amministrazione, difesa e assicurazione sociale obbligatoria (71,8%). L’Industria in senso stretto e il Commercio si collocano appena sotto il valore medio, mentre i valori più bassi si osservano nel settore Agricoltura, silvicoltura e pesca (32,5%) e in quello delle Costruzioni (43,8%).
Si riduce il divario nella formazione ICT nelle imprese
Il programma strategico della Commissione europea per la transizione digitale prevede il monitoraggio della quota di imprese con almeno 10 addetti che erogano formazione al personale per sviluppare competenze ICT. Nel 2022 il 19,3% delle imprese italiane con almeno 10 addetti ha realizzato, nel corso dell’anno precedente, attività formative in quest’ambito: si tratta di un valore in forte crescita rispetto al 2017 (+6,4 punti percentuali), anche se inferiore rispetto al 22,4% per l’insieme dell’Ue27 dove, tuttavia, l’aumento è stato molto minore (+1,7 punti). Su questo aspetto, d’altra parte, ha pesato il calo prodottosi nel 2020-2021 in associazione con la pandemia.
L’impegno delle imprese italiane nella formazione in quest’ambito è in linea con quello delle imprese di Francia e Spagna, sia con riferimento allo sviluppo delle competenze dei propri specialisti ICT (9,1%), sia alla formazione destinata al miglioramento delle competenze digitali degli altri addetti non specialisti (15,9%). A livello settoriale le imprese italiane con almeno 10 addetti del comparto ICT, il più attivo nella formazione, si collocano oltre 10 punti percentuali sotto la media dell’Ue27 (54,7% contro 65,3%). Il divario con l’Europa è molto minore se si considera l’Industria in senso stretto senza le attività estrattive (3 punti percentuali), si annulla nel caso dei Servizi di alloggio e ristorazione, o si inverte a vantaggio dell’Italia considerando le Costruzioni (1 punto percentuale sopra la media Ue27). La diffusione della formazione cresce all’aumentare della dimensione aziendale: dal 16,1% tra le piccole imprese, fino al 65,4% tra quelle con 250 addetti e oltre. Tuttavia, anche il divario con la media Ue27 si amplia con le dimensioni d’impresa: da 1,6 punti percentuali tra le imprese con 10-49 addetti, fino a 4,1 punti per le grandi imprese.
Cosa accade nella PA
La formazione ICT nella Pubblica Amministrazione è strategica per riorganizzare e semplificare la digitalizzazione di procedure e processi. Gli indicatori relativi alla formazione ICT dei dipendenti della PA locale, misurati con cadenza triennale dalla Rilevazione sull’uso dell’ICT nella PA, confermano il quadro evolutivo seppure correlato alle dimensioni e alla complessità organizzativa dell’ente: nel 2022 l’hanno effettuata il 23,9% delle PA locali (+7 punti percentuali rispetto al 2018), il 17,3% dei Comuni fino a 5mila abitanti, il 57,6% dei Comuni con oltre 60mila abitanti, il 66,0% delle Amministrazioni Provinciali e l’81,8% delle Regioni e Province Autonome.
Le principali tematiche su cui si è svolta la formazione nelle PA locali sono quelle legate ad applicazioni e software specifici (71,4%), alla sicurezza ICT (49,4%) e al web (42,2%). Inoltre, a fronte della richiesta di diffusione di servizi online, è aumentata anche la necessità di formare il personale nelle aree che la trasformazione digitale e la crisi pandemica hanno reso più importanti: nel triennio 2020-2022, il 66,4% delle amministrazioni locali ha optato per una formazione specifica sulle piattaforme abilitanti previste dal Piano Triennale ICT (PagoPA, ANPR, ecc.), il 58,7% sui pagamenti telematici, il 44,9% sull’identità digitale e il 20,2% sul cloud computing.
Come va la formazione
Una delle raccomandazioni della Commissione europea presenti nella prima relazione sul decennio digitale è quella di intensificare la quota di laureati nelle discipline scientifiche, tecnologiche, dell’ingegneria e della matematica (STEM) . Nel 2022 secondo il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca, i laureati in Italia sono 468mila, di cui 288mila appartengo all’aggregato delle discipline STEM , pari al 23,4% del totale. La maggioranza dei laureati nelle discipline STEM è concentrata tra Ingegneria e Architettura (14,2%), seguono le materie del gruppo Scientifico e Matematico (3,2%) mentre sono appena l’1,5% i laureati nelle discipline ICT. La quota di laureati nelle discipline STEM in Italia è poco inferiore alla media europea (26,5%).
L’Italia, in particolare, è in linea con la media Ue27 per quanto riguarda i laureati nelle discipline di Ingegneria e Architettura e nel gruppo scientifico e matematico, mentre per i laureati nelle discipline ICT il Paese si colloca in fondo alla graduatoria, con una distanza dalla media di 3 punti percentuali. Il programma strategico della Commissione europea prevede, inoltre, il superamento dei divari di genere nell’utilizzo delle ICT. A tal riguardo si punta al raggiungimento di una convergenza di genere nei percorsi formativi delle discipline scientifiche in particolare per quelle di informatica e tecnologie ICT.
Vantaggio femminile
In Italia nel 2022 solo lo 0,3% delle donne ha conseguito una laurea in tale ambito contro l’1,2% degli uomini. Tale disparità si riscontra anche a livello Ue27: 1% delle donne contro il 3,6% degli uomini. Va però segnalato che in Italia, come nella media dei Paesi Ue27 nelle discipline del gruppo Scientifico e Matematico, si registra un vantaggio femminile che nel nostro paese è di 1,3 punti percentuali.
Infatti sono il 4,5% le donne residenti in Italia laureate in Scienze naturali, Fisica, Matematica, Statistica, contro il 3,2% degli uomini Dall’analisi temporale emerge che dal 2019 in Italia vi è aumento dei laureati nel complesso molto più accentuato rispetto all’insieme dell’Ue27 (il 12,4% contro il 4,7%). Questo riguarda anche i laureati in discipline STEM (+7,4% rispetto al +6,9%) e, in particolare, nelle ICT (+28,8% in Italia, +22,8% nell’Ue27). Sul totale dei laureati questi andamenti si riflettono però in un leggero calo della quota dell’aggregato dei laureati in discipline STEM spiegato da una flessione nei curricula di Ingegneria e architettura che passano dal 15,2% del 2019 al 14,2% del 2022;dinamica simile a quella media dell’Ue27, assieme ad un lieve riduzione dei laureati in Scienze naturali, Fisica, Matematica, Statistica che passano dal 7,9% del 2019 al 7,7 del 2022, si osserva invece una crescita molto modesta della quota dei laureati nelle discipline ICT, dall’1,3% del 2019 all’1,5% del 2022, mentre a livello europeo è passata dal 3,9% al 4,5%