È stato appena pubblicato il nuovo piano operativo per l’attuazione della Strategia Nazionale per le competenze digitali, a cura del Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri
L’Asse 1 di tale Piano Operativo è dedicato all’Istruzione, con due linee 1.1 (Istruzione) e 1.2 (formazione superiore), quindi – rispettivamente – scuola e università, con competenze di coordinamento assegnate ai due rispettivi ministeri.
Per l’istruzione (linea 1.1) sono indicate 5 aree di intervento per il Potenziamento delle competenze digitali nell’ambito della scuola (già l’uso del termine “digitali” invece che “informatiche” è la spia che qualcosa non va), mentre per l’università (linea 1.2) ci sono 11 aree di intervento per il Potenziamento delle competenze digitali nell’ambito del sistema nazionale di formazione superiore (a maggior ragione, per l’università, parlare di competenze digitali quando abbiamo un bisogno disperato di laureati in informatica e ingegneria informatica non è indicazione che conforta).
Il piano si raccorda con le linee di investimento definite all’interno del PNRR, che però presenta, per quelle di competenza dell’Asse 1 del piano, le stesse problematiche, che avevo già stigmatizzato.
Tra le 5 azioni previste per la linea 1.1 (la sola che discuto qui) osservo che una delle due miranti allo Sviluppo di competenze e cultura digitale degli studenti, cioè “#4 Nuove competenze e nuovi linguaggi”, ha come obiettivo (piano p.53) «rafforzare le competenze STEM, digitali e più innovative, in particolare per le studentesse» e prevede come milestone (monitoraggio, p.36) l’«Avvio di programmi di approfondimento scientifico» in 8.000 scuole entro giugno 2025. Certo, è fondamentale insegnare meglio le discipline scientifiche, ma non si farà la trasformazione digitale se non ci si impegna nell’insegnamento dell’informatica, la scienza alla base del mondo digitale.
Osservo anche che l’azione mirante alla Formazione digitale del personale docente, cioè l’azione “#5 Nuova didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico”, ha come obiettivo (piano, p.54) quello di «sviluppare le competenze didattiche digitali degli insegnanti attraverso una formazione continua che acceleri la transizione digitale e l’adozione di un modello integrato unico di insegnamento per tutte le scuole» e prevede come milestone di monitoraggio (monitoraggio, p.37) la «Formazione di 650.000 insegnanti e membri dello staff scolastico con nuove competenze digitali» con scadenza al dicembre 2024. Prima di tutto rilevo che c’è una bella differenza tra usare l’informatica per insegnare e insegnare l’informatica. Poi osservo che, ad essere benevoli, si tratta di una meta un po’ ottimistica. Basta tener presente che il Regno Unito, un paese non molto diverso dal nostro per popolazione, si è avviato sulla strada della formazione dei docenti scolastici all’insegnamento dell’informatica con uno stanziamento di 84 milioni di sterline per il quadriennio 2019-2022 arrivando a formare 30.000 insegnanti nei primi due anni. Mi aspetto che, dato anche un effetto di accelerazione, col secondo biennio arriveranno alla fine del 2022 a un totale che ricade approssimativamente fra i 100.000 e i 200.000. Noi iniziamo adesso e dicembre 2024 è a solo due anni di distanza. Certo, il genio italico è in grado di fare miracoli, ma qui temo che siamo proprio al di là di ogni ragionevolezza.
En passant, richiamo infine l’attenzione sulle azioni “#1 Next generation Classrooms” e “#2 Next generation Labs” che (al di là dell’uso dell’inglese per darsi un tono di modernità) rischia di consegnare definitivamente le infrastrutture digitali scolastiche alle piattaforme delle big tech, e con esse l’educazione e il futuro dei nostri figli, tendenza che si è già avviata con una non ben ponderata gestione del lockdown pandemico. Sappiamo che esistono valide alternative.
Per quanto riguarda la sinergia con le politiche nazionali ed europee il nuovo piano operativo cita il “Piano di azione per l’istruzione digitale 2021-27” (DEAP 2021-27) solo a p.24 del documento (per dire che quello è in linea con questo) e in una nota a p.14. Né l’executive summary, né l’infografica ne fanno cenno. È un po’ sorprendente, visto che il DEAP 2021-27 è stato pubblicato due anni fa e segna un cambio di direzione della strategia europea in materia di formazione digitale, dal momento che fa esplicito riferimento alla necessità dell’insegnamento dell’informatica a tutti i livelli scolastici. Ho attirato costantemente l’attenzione su questo aspetto, sia in audizione sul PNRR al Senato (ecco il testo del mio intervento) che nella keynote lecture della 13° conferenza del Nexa Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. Nel piano operativo nessuna delle azioni previste parla mai di insegnamento dell’informatica. Solo a livello di programmazione regionale osservo la lodevole eccezione della Regione Puglia, che vuole finanziare corsi di informatica, dal livello base al livello avanzato, ma … per l’università della terza età! Iniziativa certo molto importante, visto che il divario digitale è per gli anziani particolarmente odioso, ma forse il sistema produttivo del Paese ha bisogno di qualcosa di più, non credete?
Su questa strada, è appena uscito il rapporto Informatics education at school in Europe (Insegnamento dell’informatica nella scuola in Europa), al quale ho contribuito come esperto scientifico, che misura come i vari temi dell’informatica sono insegnati nelle scuole europee ai vari livelli. Il messaggio di base è che l’insegnamento dell’informatica nella scuola è fondamentale per fornire a tutti i cittadini la conoscenza di base necessaria per partecipare, influenzare e contribuire allo sviluppo del mondo digitale. Il rapporto è stato pubblicato da Eurydice, una rete dei sistemi di istruzione nazionali che fa parte dell’Agenzia esecutiva europea per l’istruzione e la cultura, che ricade sotto la sfera di influenza della Direzione Generale “Istruzione, gioventù, sport e cultura” della Commissione Europea, di cui è responsabile politico il commissario Mariya Gabriel.
Si tratta della stessa DG che ha curato la pubblicazione del DEAP sopra citato, il quale – a proposito dell’informatica – dice, testualmente: «L’introduzione all’informatica fin dalla più giovane età … può contribuire a sviluppare competenze in materia di risoluzione dei problemi, creatività e collaborazione. … Le azioni volte a promuovere un’educazione informatica inclusiva e di elevata qualità possono anche avere un impatto positivo sul numero di ragazze che seguono studi informatici nell’istruzione superiore e lavoreranno poi nel settore digitale o svolgeranno professioni digitali in altri settori economici».
Insomma, mi pare che la direzione indicata dall’Europa sia chiara. L’insegnamento dell’informatica, come viene detto nei documenti di accompagnamento al DEAP 2021-27: «… permette ai giovani di acquisire un comprensione critica e concreta sul mondo digitale. … I benefici sono sociali (…), economici (…) e pedagogici (…)».
Si tratta di un tema che ho discusso approfonditamente, insieme al ruolo che può avere la diffusione della cultura informatica per lo sviluppo economico del Paese, nel mio ultimo saggio: “La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale“.
(I lettori interessati potranno dialogare con l’autore, a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione, su questo blog interdisciplinare.)