Il rapporto antico e indissolubile tra uomo e tecnologia
La tecnologia è da sempre un’estensione del nostro corpo e della nostra mente. Basta ritornare un attimo con la mente a quell’osso lanciato in aria dall’ominide di Stanley Kubrick in “2001: Odissea nello spazio”, che roteando (per centinaia di millenni, lungo la freccia del tempo) è diventato astronave dei sapiens. Immagine ancora attuale che, a distanza di quasi 60 anni dall’uscita del film nelle sale americane, rappresenta una metafora piena di cosa significhi per l’uomo la tecnologia.
Oggi abbiamo a che fare con l’intelligenza artificiale (IA), ma il senso del discorso non cambia: l’IA è un’estensione della nostra intelligenza, quella umana, non un ente autonomo filosoficamente parlando.
Al tema è stato dedicato un intero panel del ComoLake2023, conferenza sull’innovazione che si è tenuta dal 5 all’8 ottobre a Cernobbio, e uno degli interventi più interessanti ed attesi è stato quello di Paolo Benanti, Professore della Pontificia Università Gregoriana, principale consigliere di Papa Francesco sull’IA ed esperto di etica digitale.
L’IA senza di noi non può esistere, non avrebbe alcuna utilità e per questo emerge con forza un quesito: qual è il posto dell’uomo tra le macchine? Come dovremo relazionarci con esse? Quali possono essere i rischi di una fuga troppo in avanti dell’innovazione rispetto all’etica?
E poi, quel famoso osso cinematografico che si trasforma in astronave ci ricorda anche che ogni artefatto umano ha sempre una doppia natura, di strumento per dominare la natura e di arma per distruggere/uccidere.
IA, tenere sempre l’uomo al centro
Benanti nel suo intervento ha spiegato, infatti, che “ogni artefatto tecnologico rappresenta una funzione d’ordine nella società, è uno strato di potere”. Ecco perché l’etica deve interrogare la tecnologia, ma non solo, deve interrogare sempre anche il potere.
Bisogna interrogare ad esempio gli stessi stakeholder sul tipo di funzione d’ordine e disposizione di potere che si cerca e che induce un certo tipo di innovazione tecnologica.
“L’etica è qui per chiederci e chiedere ai portatori di interesse che tipo di società vogliamo costruire a partire dall’innovazione tecnologica”, ha sottolineato Benanti.
“Noi siamo un paese che ha una grande tradizione umanistica. Siamo il paese che ha scoperto il Rinascimento. Siamo il paese che ha visto nell’uomo e nell’umano il centro di una possibile società capace di integrare differenze e di creare così tanta bellezza. E allora forse è arrivato il momento di cercare uno sviluppo dell’intelligenza artificiale che sappia riprendere quei valori, che sappia tenere al centro l’umano, che sappia dare un nuovo rinascimento a questo paese”, ha precisato Benanti.
Benanti: “E’ tempo di algoretica, di un’etica che sia pensata da noi ma eseguita dalle macchine”
L’IA è come una macchina che sfreccia sull’autostrada, ha spiegato il Professore della Pontificia Università Gregoriana, e l’etica la possiamo immaginare come il guardrail laterale e tutta la segnaletica stradale di cui necessitiamo: “Dobbiamo riuscire a tenere sempre la macchina al centro della strada”.
Benanti ha poi spiegato il significato del termine “algoretica”: “L’etica ha bisogno di essere compresa dagli algoritmi e quindi è tempo di algoretica, di un’etica che sia pensata da noi ma eseguita dalle macchine”.
Tornando al capolavoro cinematografico di Kubrick, bisogna ricordare che per gran parte del film abbiamo a che fare con un’intelligenza artificiale ribelle, “HAL 9000”. Il grande regista ha tratteggiato forse l’esito peggiore di questo confronto tra uomo e tecnologia, speriamo che l’algoretica di Benanti ci consenta di trovare la strada giusta per superarlo nel migliore dei modi.