Tutte le regole tecniche necessarie alla reingegnerizzazione documentale nelle PA sono pienamente in vigore. Non ci resta che attuarla, questa benedetta digitalizzazione!
Da pochi giorni è scaduto il termine ultimo per adeguarsi al DPCM 3 dicembre 2013 contenente le “Regole tecniche in materia di sistema di conservazione ai sensi degli articoli 20, commi 3 e 5 -bis, 23-ter, comma 4, 43, commi 1 e 3, 44, 44-bis e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”. Molti ne hanno parlato, forse dando per scontato che tutto fosse stato chiarito in previsione di questa importante scadenza.
In realtà – stando alle numerose richieste di chiarimento arrivate in questi giorni alla nostra attenzione – credo sia utile ricordare che tutto ciò che è stato conservato nei “vecchi” sistemi avviati nella vigenza della deliberazione CNIPA 11/2004, rimane valido e non deve essere necessariamente riversato in un nuovo sistema di conservazione basato sulle attuali regole.
Insomma, restiamo tranquilli e niente panico: l’eventuale riversamento dei vecchi archivi in un nuovo sistema di conservazione (in linea con il DPCM 3 dicembre 2013) va affrontato solo come opportunità e valutandone l’utilità in termini di gestione ed efficienza, ma non deve essere interpretato come un obbligo previsto dall’attuale normativa tecnica.
Cosa c’è scritto infatti nell’articolo 14 del Decreto contenente le nuove regole, in merito alla fatidica data dell’11 aprile 2017- ormai decorsa?
Analizziamolo comma per comma al fine di garantire una corretta interpretazione.
- I comma “Il presente decreto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”.
C’è poco da commentare. Il decreto è stato pubblicato in GU Serie Generale n.59 del 12-3-2014. Quindi, è in vigore addirittura dall’aprile del 2014, anche se molti ne hanno scoperto l’esistenza in questi giorni!
- II comma “I sistemi di conservazione già esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono adeguati entro e non oltre 36 mesi dall’entrata in vigore del presente decreto secondo un piano dettagliato allegato al manuale di Fino al completamento di tale processo per tali sistemi possono essere applicate le previgenti regole tecniche. Decorso tale termine si applicano in ogni caso le regole tecniche di cui al presente decreto”.
Quindi, per riassumere e semplificare, la sospensione di 36 mesi che è scaduta qualche giorno fa riguardava solo e soltanto quei produttori di documenti informatici (enti pubblici e privati) che avevano già sviluppato, prima dell’entrata in vigore di questo decreto, un proprio sistema di conservazione (in house o in outsourcing) secondo le vecchie regole tecniche contenute nella Deliberazione CNIPA n. 11/2004.
Quanti piani di adeguamento sono stati davvero realizzati in questi 36 mesi? Quanti enti pubblici avevano un sistema di conservazione già attivo nell’aprile 2014?
- III comma: “Fino al completamento del processo di cui al comma 2, restano validi i sistemi di conservazione realizzati ai sensi della deliberazione CNIPA n. 11/2004. Il Responsabile della conservazione valuta l’opportunità di riversare nel nuovo sistema di conservazione gli archivi precedentemente formati o di mantenerli invariati fino al termine di scadenza di conservazione dei documenti in essi contenuti”.
Questo comma spiega con certezza che i vecchi sistemi di conservazione restano validi fino al completamento del processo descritto nel comma precedente (adeguamento del sistema di conservazione alle nuove regole tecniche). I vecchi archivi non devono necessariamente essere riversati nel nuovo sistema, ma questa eventualità va decisa dal Responsabile della conservazione (ovviamente del Produttore e non dell’eventuale Conservatore esterno). Quanti enti pubblici hanno ad oggi nominato un Responsabile (interno) della conservazione?
- IV comma – precisa che la deliberazione CNIPA ha ormai cessato di avere efficacia giuridica.
La situazione è questa. Ora permettiamoci un paio di riflessioni.
Parto da un’esperienza vissuta qualche giorno fa, durante un corso di formazione sull’amministrazione digitale tenuto in un’operosa regione del centro Italia, alla presenza di più di un centinaio di dirigenti e funzionari di enti locali. Ho chiesto chi di loro avesse già progettato e avviato un sistema di conservazione di documenti informatici. A parte un paio di mani alzate, il silenzio è stato desolante e impietoso.
Questo silenzio credo che in realtà possa rispecchiare la situazione italiana nella quale 36 mesi sono di fatto decorsi inutilmente. Alla luce di tale considerazione, occorre ricordare che la sospensione – come anticipato – avrebbe dovuto riguardare solo gli enti più virtuosi, con un sistema di conservazione già attivo e conforme alle vecchie regole tecniche. In realtà, se ne sono infischiati tutti (o quasi) di questo DPCM, in modo consapevole o inconsapevole.
Eppure l’art. 43 del Codice dell’amministrazione digitale precisa che “i documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove riprodotti su supporti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione e la conservazione nel tempo sono effettuate in modo da garantire la conformità dei documenti agli originali, nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71”. Le regole tecniche ci sono e non esistono alibi per non digitalizzare, anzi non conservare correttamente i documenti informatici rischia di comprometterne la validità giuridica!
Peraltro, lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale prevede nel suo articolo 40 che “le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti, inclusi quelli inerenti ad albi, elenchi e pubblici registri, con mezzi informatici secondo le disposizioni di cui al presente codice e le regole tecniche di cui all’articolo 71”. Senza se e senza ma! Ma allora perché la carta e la stampa continuano a imperare in ogni PA?
A tal proposito i dinosauri del mondo analogico hanno anche avuto modo di trovare un’ulteriore giustificazione alla situazione di perenne e irreale stallo della digitalizzazione italiana, nonostante i quasi 30 anni di norme susseguitesi in materia, provando autorevolmente ad aggrapparsi a un’ultima ambigua sospensione delle regole tecniche sulla formazione dei documenti informatici.
Una sospensione che – come ho avuto modo di spiegare – non blocca nulla, anzi, proprio il Decreto Legislativo 179/2016 non fa altro che confermare il principio (totalmente inattuato) del “digital first”, con l’impossibilità di giustificare, ancora una volta, questa incredibile palude analogica in cui versa ancora oggi la PA italiana.
Ci chiediamo dunque: perché i principi della digitalizzazione continuano ad essere totalmente ignorati?
A mio avviso, la ragione la si ritrova principalmente nella ipertrofia normativa. Infatti, non c’è assolutamente bisogno in Italia di ulteriori e nuove norme che ribadiscano l’ovvietà del principio del “digital first” (termine peraltro davvero fastidioso in questa perenne ricerca di inglesismi da raccontare pur di innovare qualcosa, almeno nel linguaggio politico). Le norme (andavano e) vanno invece lasciate sedimentare in modo che siano conosciute e riconosciute da tutti (cittadini, giuristi, operatori, dipendenti pubblici e così via), altrimenti si rivelano una barzelletta (come sono purtroppo avvertite oggi).
Questo lungo periodo di schizofrenia legislativa ha fatto danni permanenti. Prendiamone atto e fermiamoci. Lo chiedo prima di tutto al Commissario Piacentini.
Occorre poi attuare l’unico articolo che potrebbe rivelarsi davvero utile a sbloccare qualcosa. L’art. 8 del Codice dell’amministrazione digitale che recita così: “lo Stato e i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, promuovono iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini con particolare riguardo ai minori e alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire lo sviluppo di competenze di informatica giuridica e l’utilizzo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni con azioni specifiche e concrete, avvalendosi di un insieme di mezzi diversi fra i quali il servizio radiotelevisivo”.
Solo se i cittadini si renderanno consapevoli dei loro diritti di cittadinanza digitale (magari con l’aiuto di giuristi preparati e meno colposamente sonnecchianti nei confronti del diritto applicato all’informatica… di cui c’è estremo bisogno![1]) potremo riuscire a concretizzare qualcosa, senza tornare a chiederci – ogni anno decorso (inutilmente) tra il susseguirsi di sospensioni e la perdurante assenza di sanzioni realmente deterrenti in capo ai dirigenti pubblici – di cosa ci sia davvero necessità per digitalizzare le nostre PA garantendo ai cittadini i loro diritti sanciti dal CAD.
Commissario Piacentini sta a lei prima di tutto rendersene conto.
Nota
[1] Ho sentito qualcuno suggerire di lasciar perdere i giuristi e le leggi, perché ci sarebbe bisogno solo di informatica e informatici! Se prevalesse questo atteggiamento ignorante e semplicistico avremmo solo nuovi danni.
Non c’è bisogno di nuove leggi, è vero, ma quelle che ci sono vanno interpretate e attuate da giuristi preparati sulla materia ovviamente. E questi giuristi per conoscere la società dell’informazione vanno supportati da team multidisciplinari.
Di questo c’è davvero bisogno.