Se durante gli anni del coronavirus i nostri smartphone non si sono liquefatti nelle nostre mani è un mezzo miracolo: basta dare un’occhiata ai dati relativi all’anno scorso per rendersi conto quanto, in periodo di lockdown, green pass e chiusure assortite, i dispositivi mobili sono stati davvero il meccanismo di fuga preferito da mezzo mondo. Insomma, ogni giorno l’utente medio nelle prime dieci economie mobili mondiali trascorre quasi cinque ore (per la precisione 4,8) ogni singolo giorno attaccato a uno schermo. L’aumento, rispetto a due anni fa, quando di Covid-19 nessuno aveva ancora sentito parlare, è stato del +30%. In altre parole, un terzo delle nostre attività da svegli (e in qualche caso non solo quelle, tra sleep monitor e app che conciliano il sonno con suoni rilassanti) è dedicato ai nostri telefonini, tra messaggi su WhatsApp o Telegram, Stories di Instagram, video virali su TikTok, giochi e così via. In Paesi come la Corea del Sud, il Brasile e l’Indonesia si sono superate le cinque ore al giorno, e le sole nazioni in controtendenza rispetto all’anno scorso tra quelle prese in esame sono state l’Argentina e la Cina. Il segnale di una catastrofe o una dimostrazione della nostra capacità di creare engagement su schermi da cinque pollici, con la complicità di prezzi bassi per Internet mobile(su SOSTariffe.it si possono trovare gli esempi più convenienti in questo senso)?
I 233 pesi massimi del mobile
Secondo gli altri dati raccolti da App Annie, nel 2021 si sono registrati 230 miliardi di download di nuove applicazioni, con una crescita del 5% rispetto all’anno scorso e un totale di più di 435.000 applicazioni scaricate ogni minuto. Negli app store (sia iOS che Google Play, e tenendo conto anche degli store di terze parti presenti in Cina sui dispositivi Android) la spesa totale è stata di 170 miliardi e la crescita annua di +19%. Ogni minuto nel 2021 si sono spesi sugli store – tra acquisti una tantum, in-app e sottoscrizioni varie – più di 320.000 dollari.
La spesa per la pubblicità tramite ad su dispositivi mobili è invece arrivata a quasi 300 miliardi di dollari (+23%), una cifra che, se si trattasse del PIL di uno stato, la renderebbe la quarantunesima economia al mondo. E poi c’è il top del top: le 233 applicazioni che hanno potuto contare, per la gioia dei loro sviluppatori, in una spesa degli utenti superiore ai 100 milioni. Come suggerisce App Annie – con un po’ di malizia, tenendo conto come il 2021 non possa certo essere stato un anno d’oro per le sale cinematografiche – solo 38 film hanno superato questa soglia come ricavi al botteghino nello stesso lasso di tempo. Ma questo (e il fatto che Il potere del cane, il film di Jane Campion distribuito direttamente da Netflix che ha appena battuto tutti i record in quanto a numero di premi, sia un candidato più che autorevole alla conquista dell’Oscar per il miglior film, un traguardo del tutto impensabile pochi anni fa) è un altro discorso, anche se tutt’altro che irrelato.
Non solo telepresenza, avanza l’ufficio paperless
Se, dopo l’inarrivabile Cina, sono gli Stati Uniti gli assoluti dominatori della classifica assoluta per la spesa dei consumatori nell’economia mobile, con 43 miliardi nel 2021 (10,4 miliardi in più rispetto al 2020; dopo vengono Giappone, Corea del Sud, Regno Unito, Germania, Taiwan, Canada, Australi e Francia), i Paesi dove si registrano i tassi di incremento più alti per quanto riguarda i download delle applicazioni sono, tra gli altri, il Pakistan, il Perù, le Filippine (tutte e tre con un incremento di +25%), il Vietnam, l’Indonesia e l’Egitto.
Il numero di app e giochi distribuiti su iOS e Google Play ha ora superato i 21 milioni, con i 2 milioni di applicativi nuovi lanciati l’anno scorso. È Google Play, vista la maggior capillarità dei dispositivi Android, a prendersi la fetta più grossa in quanto a numero di nuove app distribuite, il 77%. Il 15% dei nuovi prodotti sono giochi. Per quanto riguarda il resto, basta dare un’occhiata alle keyword più usate su iOS per capire quali sono le applicazioni ricercate in tutto il mondo: Zoom, Teams e Google Meet compaiono quasi sempre, seguite dalle applicazioni per trovare lavoro (come dimostra la frequenza di termini come “jobs”, oltre ovviamente a LinkedIn e Indeed). Molto popolari le app di scanner per smartphone, che stanno definitivamente soppiantando i più professionali ma decisamente più scomodi dispositivi dedicati o le stampanti multifunzione, anche per la possibilità di trasformare direttamente in pdf le immagini acquisite (funzionalità molto richiesta e altro segnale del passaggio a un ufficio paperless, tipico del telelavoro, quando non si può passare al vicino un documento ma l’unica possibilità è farglielo avere sotto forma di file, via mail o anche, perché no, con WhatsApp).
E per chi è più anziano, le previsioni del tempo restano indispensabili
Cambiano molto le abitudini anche tra i sessi: negli Stati Uniti, i maschi si dedicano soprattutto a Spotify, WhatsApp Messenger, Twitter e Outlook, le femmine a Facebook, Facebook Messenger, Amazon e Instagram. In ogni caso, difficile trovare una fotografia generazionale più accurata delle app più gettonate dalle diverse fasce d’età. Negli Stati Uniti, la generazione Z non può fare a meno di Instagram, TikTok, Snapchat e Netflix, e ci sono poche sorprese; i millennial si concentrano invece su Facebook, Facebook Messenger, Amazon e WhatsApp; Gen X e boomer (nel senso di baby boomer, ma sì, quelli), ovviamente, non possono fare a meno di guardare le previsioni del tempo (su Weather Channel). In Europa, le cose vanno più o meno allo stesso modo, anche se si fa notare, in Francia e in Germania, una certa prevalenza, per le fasce più anziane, nell’utilizzo delle app sul coronavirus, sia quelle (come la nostrana Io) che forniscono i diversi lasciapassare in caso di chiusure parziali per non vaccinate, sia quelle che informano sulla presenza di positivi tra le persone più frequentate; e, anche se sicuramente poco entusiasmante, è comunque un segnale positivo, in quanto dimostra la volontà di informarsi e prendere le necessarie precauzioni per evitare il contagio. Aspettando, ovviamente, di vedere finalmente scomparire sia dagli store che dalle classifiche tutte quelle app con “corona” nel nome, e non per imprudenza degli utenti.