In un’epoca in cui possedere uno smartphone, usare una lavatrice, un frigorifero, un computer o una lampadina sono ritenute azioni ordinarie di vita quotidiana dalla maggior parte delle persone, adottare un atteggiamento critico sull’utilizzo di elettrodomestici o apparecchiature elettriche ed elettroniche rappresenta una sfida ogni giorno più ardua.
Gli elettrodomestici hanno vita sempre ed irrimediabilmente più breve. Ogni anno escono nuovi modelli di smartphone, e tutti sono indotti, per motivi pratici o per seguire le mode del momento, ad acquistare nuovi prodotti e dar via i “vecchi’’, forse con troppa leggerezza.
Certo lo standard di vita è migliorato molto negli ultimi decenni, ma insieme ad esso il consumo e le risorse utilizzate sono aumentati molto ma molto di più, esponenzialmente, anche a causa delle minori opzioni di riparazione dei dispositivi indotte dal loro breve ciclo di vita.
Una volta buttate via, le apparecchiature elettriche ed elettroniche, anche chiamate EEE (Electrical and Electronic Equipment), vengono considerate rifiuti, i cosiddetti ‘E-waste’ o WEEE. I modi in cui questi apparecchi vengono prodotti, utilizzati e consumati non sono assolutamente sostenibili. Ciascuno di questi dispositivi è composto da diverse parti e materiali che necessitano modalità differenti di smaltimento e che presentano caratteristiche e proprietà quasi sempre nocive alla salute e all’ambiente.
Il rapporto delle Nazioni Unite
Un Rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2019 fornisce un quadro completo sulla situazione globale su questo genere di rifiuti inquinanti, pericolosi e spesso mal gestiti dagli Stati.
Le informazioni contenute nel Rapporto richiamano come inderogabile la necessità di una vera e propria rivoluzione a livello sia nazionale che internazionale del trattamento degli E-waste.
Milioni di tonnellate di E-waste
Nel 2019 sono stati generati nel mondo 53,6 milioni di tonnellate totali di E-waste (circa 7.3 kg pro capite) e si stima che arriveranno ad essere 74.7 milioni nel 2030 (circa il doppio rispetto al 2014).
In Asia è stata prodotta la quantità maggiore di E-waste, pari a 24.9 milioni di tonnellate, mentre il secondo continente in termini di quantità di E-waste generata nel 2019 è l’America (13.1 milioni di tonnellate), seguita dall’Europa (12 milioni), dall’Africa (2.9 milioni) e dall’Oceania (0.7 milioni).
L’Europa presenta il maggior tasso di consumo pro capite, pari a ben 16.2 kg l’anno.
Rispetto al 2014, l’aumento di E-waste riciclati è stato pari a 1.8 milioni di tonnellate, ma con un incremento totale di rifiuti pari a 9,2 milioni di tonnellate. Nonostante i paesi con dei regolamenti a riguardo siano passati da 61 a 78 (dal 44% al 71% della popolazione mondiale) tra il 2014 e il 2019, da questi dati si può comprendere quanto l’impegno a livello globale sia ancora insufficiente.
Il rettore della United Nations University e sottosegretario generale David M. Malone ha sottolineato questo aspetto affermando che “…maggiori sforzi per garantire una produzione, un consumo e uno smaltimento globali più intelligenti e sostenibili degli EEE sono urgentemente necessari”.
Solo il 17,8% degli E-waste viene propriamente raccolto e riciclato
Infatti, solo il 17,8% degli E-waste viene propriamente raccolto e riciclato.
Dove va a finire il resto?
La disorganizzazione dei governi, assieme alla mancanza di dati precisi sulla quantità di E-waste prodotta su scala globale, fanno sì che molti rifiuti non vengano gestiti dal sistema ufficiale dei singoli Paesi e che spesso vengano addirittura spediti illegalmente nei Paesi in via di sviluppo, dove vengono presi in carico dal settore cosiddetto “informale” delle società private spesso scarsamente controllate.
In Africa molti paesi che importano materiale da riutilizzare, che viene gestito da enti informali o privati, non dispongono delle strutture di riciclo adatte e non hanno i finanziamenti per poter smaltire adeguatamente i rifiuti nocivi all’ambiente e alla salute dei lavoratori, i quali lavorano spesso in maniera autonoma ed abusiva.
Uno dei casi più eclatanti è quello del Ghana, dove ad Agbogbloshie si è sviluppata un’enorme discarica di E-waste nella quale lavorano ogni giorno più di 5000 persone. Il luogo viene indicato addirittura come “la discarica dei rifiuti elettronici del mondo”.
In molti altri Paesi, come in Sud Africa, Marocco, Egitto, Namibia e Rwanda, le norme applicate per il riciclo degli E-waste non riesce comunque a contrastare la presenza del settore non gestito dallo Stato.
Il 71% della popolazione mondiale vive in Paesi con un regolamento riguardante questi rifiuti speciali, ma ci vorrebbe una maggiore consapevolezza e uno sguardo più ampio sulle attuali criticità per fare in modo che vengano applicate regole più efficienti.
Ad esempio, negli Stati Uniti il 75-80% della popolazione è soggetto ad un regolamento riguardante gli E-waste, anche se molti Stati non hanno le strutture adatte alla raccolta dei rifiuti.
In America Latina solo pochi Paesi hanno adottato una legislazione di questo tipo tra cui il Messico, il Perù, il Costarica e la Colombia, mentre il Cile ed il Brasile ne stanno ponendo le basi, ma c’è ancora tanta strada da fare per poter raggiungere dei risultati adeguati. Oltre ad essere ancora arretrati dal punto di vista legislativo e regolatorio, i governi dell’America Latina non hanno previsto un sistema di raccolta delle informazioni riguardo gli E-waste.
La fase di raccolta ed elaborazione dei dati di settore risulta fondamentale per poter progettare ed implementare regolamenti a livello regionale, nazionale ed internazionale, volti a gestire al meglio le esorbitanti quantità di E-wasteprodotte ogni giorno. A maggior ragione, una più profonda consapevolezza da parte dei singoli governi permetterebbe di dedicare a questa causa la giusta attenzione e le adeguate risorse finanziarie. Attualmente, ancora molti Paesi (in particolare non europei) non hanno alcun quadro di valutazione per le statistiche di E-waste.
Infine, la Rapporto delle Nazioni Unite ha messo in luce il divario esistente in materia di WEEE tra le nazioni ricche e quelle povere.
I Paesi ad alto reddito presentano percentuali molto più alte per quanto riguarda il riciclaggio rispetto a quelli più poveri, i quali non possono permettersi le giuste infrastrutture. In questi Paesi infatti, visto che l’E-waste è gestito principalmente dal settore informale ovvero da società private scarsamente controllate, le persone che lavorano nell’ambito dei WEEE sono esposte a gravi rischi per la salute e operano in condizioni molto precarie, senza il rispetto di alcun protocollo di sicurezza.
Il materiale tossico contenuto nei rifiuti elettrici ed elettronici rappresenta infatti una fonte di gravi danni ai sistemi nervoso ed immunitario, alla pelle e ai reni. Le sole sostanze nocive come il mercurio e i ritardanti di fiamma bromurati, ogni anno vengono documentate rispettivamente circa 50 e 71 tonnellate presenti nei WEEE.
Nel sempre più complesso ma necessario percorso verso una società più sostenibile, basata su un’economia circolare, la presenza e la gestione degli E-waste costituiscono un ostacolo da non sottovalutare.
Il materiale ricavato dal riutilizzo degli E-waste è una potenziale risorsa di materia secondaria pari a 4 milioni di tonnellate l’anno, con un valore di 57 miliardi di dollari, facendo riferimento ai dati del 2019. Oltre ad un profitto economico, il riutilizzo dei materiali che compongono gli EEE permetterebbe di risparmiare 15 milioni di tonnellate di Co2 l’anno.
Considerando il grande impatto ambientale e salutare degli E-waste, le Nazioni Unite hanno dedicato ampio spazio a questi nei Sustainable Development Goals (SDG) del 2015.
Gli obiettivi che fanno riferimento a questo tipo di rifiuti sono quelli riguardanti la crescita economica e il lavoro dignitoso, la salute ed il benessere, la garanzia di acqua pulita e servizi igienico-sanitari, la gestione sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine. Più nello specifico, la gestione dei E-waste rientra nel campo d’azione degli SDG 11 e 12, che mirano rispettivamente a ‘’Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili’’ e ‘’Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo’’.
Cosa fare, realmente?
Considerando la pericolosità dei rifiuti elettrici ed elettronici, le Nazioni Unite hanno implementato un indicatore specifico per tenerli sotto controllo. Quest’ultimo è riportato nella SDG 12.5.1, ed è definito dal rapporto tra la quantità di E-waste riciclata e quella generata.
Nel promuovere la diminuzione dei beni utilizzati e l’aumento del tasso di riciclo, è fondamentale così come complesso risvegliare la consapevolezza e lo spirito critico sia dei consumatori che dei produttori. Per questo motivo, anche le grandi aziende e le multinazionali si stanno impegnando per ridurre le proprie emissioni, con l’obiettivo di contrastare l’impatto negativo degli E-waste.
Ma inevitabilmente un obiettivo del genere dovrà anche essere sostenuto innanzitutto dall’azione degli Stati, attraverso gli obblighi imposti dalle norme, e accompagnato da un cambiamento di stile di vita di ogni singolo individuo.