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Come cambiano (e perché cambiano) Facebook e Instagram

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«Il futuro è privato»: parole che potrebbero sembrare una sottile presa in giro (e forse lo sono) quando vengono pronunciate dall’uomo a cui, a torto o ragione, pensiamo subito tutti quando si parla di “violazione della privacy”. Ma Mark Zuckerberg è serissimo quando, dal palco della conferenza per gli sviluppatori F8, indica la direzione che Facebook seguirà per i prossimi anni, con cambiamenti che si preannunciano radicali sia dal punto di vista della grafica e dell’interfaccia che di quello che sta sotto il cofano.

Sottile povocazione, perché meno di dieci anni fa, nel 2010 – un’era geologica nel mondo digitale – lo stesso CEO di Facebook, intervistato dal fondatore di TechCrunch Michael Arrington, dichiarava con la massima disinvoltura: «La gente ora si sente molto più a suo agio non solo nel condividere più informazioni e di diverso tipo, ma in modo più aperto e con ancora più persone. Le norme sociali sono un qualcosa che evolve nel tempo». E se è vero che questi ultimi anni rappresentano, per molti versi, un’esitazione – quando non una vera e propria marcia indietro – rispetto a molte cose che si davano per scontate, allora non ci si deve stupire più di tanto quando Zuck discetta di messaggi criptati e di social «non solo come piazza, ma come salotto digitale».

Fonte: Statista

Sempre più privati

In questi dieci anni sono successe parecchie cose – dall’acquisizione di Instagram, oggi il  social network d’elezione per i giovanissimi, agli scandali riguardanti l’uso decisamente disinvolto dei dati degli utenti, vedasi Cambridge Analytica. Facebook oggi non è più consultato dal computer, ma, con la complicità dei prezzi sempre più bassi delle connessioni via Internet mobile (su SosTariffe.it potete confrontare ogni giorno le più convenienti), dagli smartphone, e proprio la fruizione mobile ha ispirato le interfacce dei social più apprezzati dai consumatori del futuro (non solo Instagram ma anche Snapchat e Tik Tok).

Il ripiegamento sul privato, in altre parole – e questa forse è un’attenuante per Zuckerberg – non riguarda soltanto la nostra esperienza digitale, ma è un fenomeno più ad ampio raggio, che tocca  tanti aspetti della nostra vita. I social sono solo un riflesso di questa mutazione; oggi preferiamo guardare e commentare le Storie della propria ristretta cerchia di amici (più qualche superstar e influencer che ci tiene a dirci “sono come voi”) rispetto a quando pensavamo di dire la nostra al mondo con i blog (non a caso l’esempio utilizzato dallo stesso Zuckerberg nel 2010).

Dalla piazza al salotto

Se il mondo, almeno parzialmente, si chiude, anche Facebook lo asseconda. Ma come? Il cambiamento grafico e di interfaccia è sicuramente il più radicale dal 2011, quando per la prima volta venne introdotta la timeline. «Non è nemmeno blu», ha scherzato – ma solo fino a un certo punto – il giovanissimo CEO durante il suo intervento, riferendosi a un look che pare aver rinunciato in massima parte al suo colore iconico in favore di un bianco più leggibile, più neutro, e soprattutto “diverso”: come dire, Facebook non è più quello di prima. Cambierà l’icona (“più vivace e moderna”) e la navigazione sarà facilitata, grazie a un design più semplice e immediato. In più, codice del sito e dell’app verrà riscritto da zero per renderli più veloci.

Ma i cambiamenti più radicali riguarderanno i gruppi, la feature che più di ogni altra tiene a galla la piattaforma: saranno più accessibili e immediati per chi è alla ricerca di contesti più intimi, e allo stesso tempo più controllati per evitare abusi e comunità che incitano alla violenza.

La scialuppa di salvataggio? Instagram

Ma le novità di Zuckerberg non riguardano solo Facebook. Non si butta via niente, e allora perché rinunciare a tante funzioni meticolosamente introdotte nel corso degli anni e inutilizzate perché, diciamocelo, ormai sono sempre meno gli under 40 che accedono a Facebook? Sempre in base ai cambiamenti annunciati alla F8, la “facebookizzazione” di Instagram sembra ormai inevitabile. Adam Mosseri, a capo del più popolare social network del momento, ha mostrato il “Create mode”, ovvero un nuovo formato delle Storie dedicato a testi, quiz e sondaggi non legati direttamente a dei contenuti fotografici o video, un po’ come i “color block status” introdotti da Facebook nel 2017. Una caratteristica che tra l’altro per la prima volta spezza ufficialmente il legame tra fruizione visiva e non testuale che ha portato al successo di Instagram, ma che ormai gli utenti stanno abbandonando in favore di Storie dove si scrivono righe su righe di testo.

Fonte: Statista

Il rischio dell’effetto televendita

Dietro a tutto, rimane il problema della monetizzazione. Il fatturato dei social arriva dalla pubblicità, ma anche dalla gestione dei dati degli utenti secondo modelli che oggi non sono più sostenibili, alla luce degli scandali e delle manipolazioni. Bisogna quindi puntare altrove, e se le novità per Instagram sono anche “no profit” (come i “Donation stickers”, che permetteranno di raccogliere fondi per cause benefiche con le Storie) la parte più ghiotta per Menlo Park riguarda ancora la possibilità di acquistare i prodotti pubblicizzati dall’influencer di turno direttamente dall’app: è stata infatti annunciata la possibilità di aggiungere degli speciali tag ai post che conducono direttamente al link per l’acquisto del prodotto; per evitare che tutto si riduca a un’immensa televendita, i portavoce di Instagram si sono affrettati a specificare che gli influencer non riceveranno una percentuale di quanto venduto grazie ai loro link. E nessuno si stupirebbe se anche i gruppi, in tempi più o meno brevi, arrivassero sulla piattaforma-sorella.

Insomma, Instagram è la perfetta scialuppa di salvataggio per il social network che fino a tre o quattro anni fa appariva una corazzata impossibile da fermare e che adesso invece è sempre più sul punto di affondare, a causa degli scandali e del cambiamento delle abitudini degli utenti, in particolare nell’ambitissima fascia tra i 12 e i 34 anni. Instagram fa soldi, è popolare, non genera (troppe) polemiche e quando qualcosa va storto si può ancora intervenire, ad esempio con ciò di cui si è molto parlato in queste settimane ma che ancora attende il suo debutto ufficiale, cioè la possibilità di nascondere i like di un post. L’obiettivo è far sì che i contenuti vengano apprezzati di per sé e non in base a quante altre persone in precedenza hanno messo un “cuore” (dinamica che è patita particolarmente dai teenager e che ha dato origine a casi di vero e proprio “bullismo digitale” soprattutto negli Stati Uniti, ma anche da noi). Resta da vedere se tutto questo basterà.

Fonti:

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