Dopo l’Accordo di Parigi sul clima del 2015, l’amministratore delegato della JP Morgan Chase & Co, Jamie Dimon, con riferimento all’Accordo ha dichiarato i flussi finanziari diventassero “coerenti con un percorso che andava verso la riduzione delle emissioni di gas serra”.
Una presa di posizione netta e chiara, tuttavia la retorica ha lasciato ben presto il posto alle reali politiche finanziarie della banca, che erano e sono di altro orientamento.
Tra il 2016 e il 2018, la JP Morgan ha incrementato i finanziamenti per i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas estratti dall’Artico) nonché per “fracking” e sabbie bituminose, per un importo totale di 196 miliardi di dollari. In altre parole, chiunque sia cliente di questa banca potrebbe aver contribuito con i soldi di quest’ultima a finanziare le perforazioni della foresta amazzonica.
Il caso della JP Morgan non è tuttavia l’unico: secondo il Rapporto di un gruppo di organizzazioni no profit ambientali, le 33 maggiori banche globali hanno fornito, collettivamente, 1.900 miliardi di dollari per il finanziamento dei combustibili fossili.
Di questa enorme cifra, 600 miliardi di dollari sono finiti nelle mani di 100 aziende, che stanno espandendo in modo aggressivo i progetti basati sull’utilizzo di questi combustibili, proprio in un momento in cui, invece, gli scienziati impegnati nello studio del cambiamento climatico avvertono che il mondo ha bisogno di una rapida transizione verso le energie rinnovabili.
“Questi numeri e questa espansione così aggressiva risulta particolarmente preoccupante” per Alison Kirsch, ricercatrice capo del programma clima ed energia della Rainforest Action Network, una delle organizzazioni no profit che ha contribuito a stilare il rapporto. “Le precedenti analisi” per Alison Kirsch, “hanno dimostrato che le potenziali emissioni di carbonio delle riserve di combustibili fossili, già in produzione, ci porterebbero oltre i 2 gradi di surriscaldamento, per non parlare del pericolo che già rappresenta il raggiungimento della soglia di 1,5 gradi“.
Dopo l’Accordo di Parigi, va riconosciuto, alcuni grandi banche hanno limitato gli investimenti sui combustibili fossili. L’HSBC, per esempio, ha annunciato, nel 2018, che avrebbe smesso di finanziare nuove perforazioni nell’Artico, sabbie bituminose e centrali a carbone, salvo ammettere varie eccezioni, come l’investimento di denaro nelle nuove centrali a carbone in Bangladesh, Vietnam e Indonesia. In molti casi i criteri di concessione di finanziamenti significativi restringono l’erogazione a progetti specifici, ma non in generale alle compagnie di combustibili fossili.
La JP Morgan non è dunque l’unica banca a sostenere l’uso di fonti energetiche dannose per l’ambiente, ma è sicuramente quella più impegnata, dal momento che stanzia il 29 % di finanziamenti in più rispetto alla Wells Fargo, che si posiziona al secondo posto. A completare il quadro delle quattro maggiori banche che finanziano i combustibili fossili nel mondo ci sono la Citigroup e la Bank of America.
Di fronte all’emergere di questi dati, la JP Morgan ha ribattuto sostenendo che l’azienda si è impegnata a sostituire il proprio uso di energia elettrica con energie rinnovabili e che ha investito 200 miliardi di dollari per un finanziamento “pulito” ed ecosostenibile.
Il 18 marzo, Wells Fargo e Goldman Sachs, che investono anch’esse in idrocarburi, hanno addirittura presentato ricorsi in tribunale per fronteggiare gli azionisti che avevano loro chiesto di ridurre l’impatto ambientale e di mantenersi in linea con l’Accordo di Parigi. La SEC (Securities and Exchange Commission) ha riconosciuto a entrambe le banche la facoltà di impedire agli azionisti di condividere queste risoluzioni, sostenendo che tali proposte “esercitano un controllo eccessivo sull’operato delle aziende”.
Come si esce da questo circolo vizioso di finanziamenti, che mettono in serio pericolo gli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi per frenare la crisi climatica globale.
Innanzitutto ci sono banche, come Aspiration, che offrono, a chiunque voglia spostare il proprio denaro altrove, la possibilità di investimenti che non prevedono i combustibili fossili.
Inoltre, la stessa Kirsch ritiene che la pressione dei consumatori, insieme alla pressione degli investitori, alcuni dei quali nutrono anche preoccupazioni circa la redditività a lungo termine delle compagnie petrolifere e del gas, potrebbe generare un importante cambiamento, costringendo le grandi banche a modificare le proprie politiche in materia di finanziamenti che possono danneggiare il clima.
Si tratterebbe di un’inversione di rotta sempre più necessaria e urgente, dal momento che il cambiamento climatico è diventata una delle sfide più importanti del nostro tempo, sfida che non può essere affrontata senza tentare di porre un freno, o quanto meno di regolamentare, le contraddittorie politiche finanziarie dei più importanti player del mondo della finanza globale.