Il Colosseo (I sec. d.C.) è la punta dell’iceberg di molte storie che, nel tempo, ne hanno fatto un marcatore non solo urbano ma anche economico: il vento dei saccheggi d’altro canto soffiava sempre dove c’era bisogno di qualcosa.
Succedeva ad esempio nel tardoantico, quando Roma perse le miniere di ferro in Bretagna. Il metallo balzò all’apice dei desiderata, un po’ come altre materie prime oggi. Così, non era raro imbattersi in qualcuno che, per rubarlo, saliva su canestri fino alle giunture dei blocchi di travertino: ne parlano i buchi in facciata e un anello in meno. Ma la storia di questo icastico avanzo doveva vederne ancora delle belle… Nel Rinascimento, il popolo romano aveva fame e Sisto V pensò a un “Lanificio Colosseo”: botteghe ai piani alti, alloggi e manifatture in quelli bassi. Pollice verso, la morte del pontefice francescano sottrasse linfa a questo pauperismo un po’ estremo.
Questa settimana Deloitte ha stimato che il “marchio” Colosseo vale 77 miliardi di euroe contribuisce per altri 1,4 al Pil italiano. La prova provata che è un brand temperato proprio a tutto e per questo incancellabile.