Il nostro Paese è valutato a livello mondiale come follower, ma per un soffio rientriamo ancora nella Top 10 delle economie che hanno ottenuto i migliori risultati in termini di valutazione dell’efficacia e della qualità dei servizi cloud computing offerti.
A guardare bene il rankikng, tutto sommato, si nota come l’Italia abbia ancor la possibilità di piazzarsi anche al quinto posto, scalzando l’Australia e lasciandosi dietro Singapore, Canada e Francia.
La differenza in fondo è di circa un punto percentuale (Italia 79%, Singapore 80,2%) secondo l’edizione 2018 del Global cloud computing scorecard di BSA/The Software Alliance.
Un documento finalizzato alla valutazione delle politiche in ambito cloud a livello mondiale, realizzato a partire dai punteggi ottenuti a seconda dei temi chiave individuati: data privacy, sicurezza, cybercrime, proprietà intellettuale, supporto all’industria/internazionalizzazione, promozione del libero mercato, infrastrutture IT e diffusione della banda larga.
L’Italia si situa al nono posto fra 24 nazioni, con un leggero decremento rispetto alla classifica del 2016, che vedeva il nostro Paese all’ottavo posto.
Questo risultato conferma comunque che in Italia l’ambiente legale e regolamentare continua ad incoraggiare lo sviluppo dell’innovazione nel campo del cloud, ma che si va troppo lenti e forse manca anche una visione generale a livello di nazione.
I nostri punti di forza sono diversi.
Ad esempio, il quadro legislativo italiano sulla protezione dei dati è esauriente, ma prevede alcuni requisiti di registrazione che risultano onerosi e non necessari, insieme ad alcune limitazioni al flusso dei dati.
L’Italia, inoltre, garantisce un adeguato livello di protezione della proprietà intellettuale per i servizi di cloud computing, inclusa la tutela “safe harbor” relativa alla responsabilità per la violazione di terze parti.
Abbiamo un’efficace legislazione sul cybercrime e abbiamo sviluppato un’adeguata e concreta strategia di sicurezza informatica.
Il nostro Paese, in aggiunta, si è dotato di una moderna legislazione sulla firma elettronica e l’ecommerce, impegnandosi a rispettare gli standard internazionali e l’interoperabilità.
Complessivamente, il mercato italiano dei servizi di cloud computing valeva nel 2016 oltre 1,7 miliardi di dollari.
A livello mondiale, il comparto cresce senza sosta con un valore di mercato atteso per la fine del 2018 pari a 181 miliardi di dollari (supererà i 300 miliardi dopo il 2021 secondo dati Gartner), per una crescita nei 12 mesi calcolata attorno al 21%.
Dov’è allora che siamo scarsi?
Indubbiamente, se noi tentenniamo, gli altri Paesi non stanno a guardare e continuano a migliorare le proprie performance, in particolare in termini di infrastruttura IT e sviluppo della banda larga.
La Germania occupa il primo posto della classifica, seguita da Giappone, USA e Regno Unito.
In linea di massima, questi Paesi hanno raggiunto punteggi elevati grazie a politiche avanzate in materia di privacy e sicurezza, ma anche grazie ad un’accresciuta attenzione sullo stato dell’arte dell’infrastruttura IT e del broadband.
Il nostro Paese registra scarsi risultati in termini di qualità delle infrastrutture, quindi di connettività, ma anche nella Pubblica Amministrazione. Il cloud della PA, infatti, presenta una situazione frammentata e disomogenea, come accade anche per i data center.
È necessaria una razionalizzazione delle infrastrutture fisiche non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista economico. La realizzazione e definizione di un modello strategico evolutivo del cloud della PA renderà possibile virtualizzare il parco macchine di tutte le amministrazioni, con importanti benefici in termini di costi e di gestione della manutenzione.
Guardando al Piano triennale per l’informatica nella PA 2017-2019, le principali linee d’azione avviate per implementare il cloud si rivolgono ai seguenti obiettivi: aumento della qualità dei servizi offerti in termini di sicurezza, resilienza, efficienza energetica e business continuity; realizzazione di un ambiente cloud della PA, omogeneo dal punto di vista contrattuale e tecnologico, riqualificando le risorse interne alla PA già esistenti o facendo ricorso a risorse di soggetti esterni qualificati; risparmio di spesa derivante dal consolidamento dei data center e migrazione dei servizi verso il cloud.