Dalla COP21 di Parigi che ormai è alle porte, inizierà, infatti, il 30 novembre, è attesa una svolta negli impegni degli stati in merito al riscaldamento globale. Attualmente è vigente il Protocollo di Kyoto, primo strumento vincolante per gli stati firmatari in tema di emissioni climalteranti. Oggi il protocollo siglato nella città nipponica alla terza COP del 1997 è ormai un documento vecchiotto e superato rispetto alle sfide ambientali. Gli Stati Uniti, per esempio, non lo hanno mai firmato e sono responsabili di una consistente quota delle emissioni mondiali. Paesi come Cina e India, invece, non erano obbligati a ridurre le loro emissioni secondo il protocollo.
L’obiettivo, per evitare la febbre della Terra, è quello di contenere l’aumento della temperatura media del Pianeta entro i 2° C. Diversamente, si rischia di andare incontro a cambiamenti climatici catastrofici. Ora il presidente americano Barack Obama – dopo l’accordo sul riscaldamento globale siglate con il suo omologo cinese – è deciso a portare gli Stati Uniti all’interno di un accordo vincolante sul clima, impegnandosi a ridurre i propri gas serra del 26/28% entro il 2025. Questo farebbe, dunque, pensare al successo di questa prossima Conferenza sui cambiamenti climatici. La Cina, oggi il primo Paese per emissioni, è decisa a tagliare del 60% le emissione per unità di PIL entro il 2030.
Dunque il fatto che Cina e Stati Uniti abbiano finalmente deciso di prendere parte attiva contro i cambiamenti climatici potrebbe rappresentare il viatico ad un accordo globale visto che nel resto del mondo non ci sarebbe qualcuno dello stesso peso che abbia intenzione di tirarsi indietro. Ma gli impegni presentati dai 148 Paesi coinvolti sono dei più disparati e variegati e il rischio che nasca un compromesso al ribasso dalla prossima COP21 non è poi così lontano. Certo, il Pianeta non ha la possibilità di permettersi questo lusso. Un accordo è indispensabile, fondamentale su economia e sistemi produttivi che porti l’economia all’approccio circolare del nostro millennio rispetto a quello lineare del Novecento. E non dovrà basarsi su un nuovo approccio allo sviluppo umano – come ha sottolineato tempo fa il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – ‘perché sarebbe un fallimento, in quanto inutile a fronteggiare i cambiamenti climatici. Questa volta non c’è un piano B, perché non esiste un pianeta B’.