È un argomento che in Italia conosciamo bene, soprattutto in campagna elettorale: il poliziotto di quartiere. Diverse sono state le sperimentazioni, in alcuni Comuni sono diventate realtà, ma in generale la figura del poliziotto di quartiere non ha trovato modo di affermarsi.
Il territorio è difficile da gestire, complesso da vivere e certamente critico da un punto vista della sicurezza. A parte la “percezione” che abbiamo della criminalità, spesso alterata dai mezzi di comunicazione, dopo la Spagna siamo il paese che in Europa dedica più spazio al tema dell’insicurezza e della criminalità nei telegiornali (il 37% delle notizie), in effetti i cittadini lamentano un deficit di vigilanza.
Gli ultimi dati messi a disposizione dal Ministero dell’Interno nel 2017 parlano di un Paese più sicuro, rispetto all’anno precedente, con un calo del 12% delle denunce alle Forze dell’Ordine, un calo degli omicidi del 15% (a quanto pare non ci sono mai stati così pochi omicidi nel nostro Paese dall’Unità d’Italia, vero e proprio record storico) e un calo generalizzato di rapine e furti.
L’Unione europea ha allora avviato il progetto “Citycop”, finanziato con circa 5,5 milioni di euro, che ha sviluppato l’applicazione mobile “SecureU” sperimentata in cinque città europee: Bucarest (Romania), Firenze, Lisbona (Portogallo), Dublino e Kildare (Irlanda).
Nel team di ricerca anche rappresentanti del Consiglio nazionale delle ricerche, del Comune di Firenze e del Laboratorio di scienza della cittadinanza.
Si tratta di sperimentare la vigilanza collettiva di un determinato territorio, coinvolgendo i cittadini in prima persona e quindi le Forze dell’ordine.
Un modo per gli abitanti di entrare in contatto direttamente con la polizia, di infondere agli stessi membri di una comunità un maggiore senso di collaborazione, fornendo loro delle opzioni più semplici per denunciare crimini, per sollevare problematiche relative alla qualità della vita ed evidenziare attività sospette.
Funzionamento dell’applicazione e primi risultati del progetto sono stati illustrati da Jeanne Pia Mifsud Bonnici, coordinatrice di “Citycop” per l’Università di Groningen: “Gli utenti per prima cosa scaricano la app da Google Play o dall’App Store, poi selezionano un paese, una città e la lingua. Essi si trovano quindi davanti un’interfaccia intuitiva che permette loro di vedere le allerte registrate, inoltrare e gestire le denunce alla polizia e ottenere informazioni da luoghi di rilevanza per il quartiere, quali per esempio commissariati di polizia, caserme dei pompieri e ospedali”.
Gli utenti possono registrare le proprie informazioni personali e condividere la propria posizione per facilitare la denuncia (in alcuni casi è richiesto), dati che possono essere cancellati o modificati in qualsiasi momento.
A seconda dei luoghi, è stata conferita all’app una propria anima, un proprio “carattere locale”, nel tentativo di rispettare le diverse sensibilità. La definizione di vigilanza di quartiere, infatti, varia notevolmente da paese a paese.
Mentre alcune regioni d’Europa hanno decenni di esperienza con la vigilanza orientata alla comunità, per altre il concetto è relativamente nuovo e sta appena iniziando a prendere forma.
Per le Forze dell’ordine, infine, un pannello di controllo accessibile da internet fornisce diverse funzioni chiave, tra cui le principali sono: la creazione, classificazione e gestione delle allerte; la gestione – e la risposta – alle denunce provenienti dai membri della comunità.
Tutte le allerte, denunce ed emergenze sono visualizzate su una mappa all’interno del pannello di controllo e possono essere esportate per creare verbali per scopi riguardanti la gestione o la verifica. Il pannello di controllo è facile da usare, intuitivo e può essere utilizzato con un minimo investimento da parte delle agenzie coinvolte.
I risultati del progetto saranno illustrati a Firenze nel prossimo mese di aprile.