Professore: «[…] Lei promette bene, le dicevo, e probabilmente sbaglio, comunque voglio darle un consiglio. Lei ha una qualche ambizione?»
Studente: «No… »
Professore: «E allora vada via, se ne vada dall’Italia. Lasci l’Italia finché è in tempo. Cosa vuol fare il chirurgo?»
Studente: «Non lo so… Non ho ancora deciso.»
Professore: «Qualsiasi cosa decida, vada a studiare a Londra, a Parigi, vada in America, se ha la possibilità, ma lasci questo Paese. L’Italia è un paese da distruggere, un posto bello e inutile; destinato a morire.»
Studente: «Cioè, secondo lei tra poco ci sarà un’apocalisse?»
Professore: «E magari ci fosse, almeno saremmo tutti costretti a ricostruire, invece qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri. Dia retta, vada via.»
Studente: «E lei allora, professore, perché rimane?»
Professore: «Come perché? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere!»
(“La meglio gioventù”, Marco Tullio Giordana, 2003)
Sono un dipendente della Pubblica Amministrazione italiana. Appartengo ad una massa, che all’apparenza sembra essere incolore ed informe. Una massa assunta a tempo indeterminato con qualifica professionale medio-bassa e che, in seguito, in modo più o meno fortunoso, più o meno doloroso, si è formata in seno alla PA stessa.
Una Pubblica Amministrazione dove ancora esistono profili professionali del tutto marginali, divenuti ormai inutili, che prevedono tante mansioni, tranne quelle di cui si avrebbe la reale necessità.
Una Pubblica Amministrazione dove il termine “meritocrazia” pare essere stato bandito, o forse dove non è mai riuscito a penetrare.
Una Pubblica Amministrazione dove le prassi e le consuetudini sopravvivono alla notte dei tempi e dove i dinosauri non si sono mai estinti.
Il nostro caro amico e collega, Fausto De Felici, in qualità di “cittadino attivo” amava ripetere spesso che: «non si può normare la gestione delle risorse umane».
Affermazione fin troppo veritiera.
Personalmente, se lungo il mio sentiero professionale non avessi avuto la “Fortuna” di incontrare un dirigente che, in uno spunto di lungimiranza, non mi avesse chiesto, al di fuori di ogni prassi o consuetudine, quali fossero le mie attitudini ed i miei interessi personali, oggi, probabilmente, sarei incasellato secondo la mia “qualifica funzionale”, sarei cioè solo un numero, un dipendente pubblico spento e rassegnato, il cui unico compito sarebbe quello di “fare fotocopie”, o forse “data entry“. Molto probabilmente, per buona parte del mio tempo non avrei saputo cosa fare, nella spasmodica attesa dell’orario di uscita.
Forse alcuni di voi avranno avuto l’occasione di imbattersi nel materiale multimediale, reperibile su YouTube o su altri siti, che la nostra squadra di lavoro utilizza molto di frequente come forma comunicativa, al fine di denunciare i mali cronici della Pubblica Amministrazione italiana.
Ebbene, nello specifico, io mi occupo proprio di multimedialità. Ad esempio, sono l’autore del morphing che trasforma il volto del Dottor Frankenstein (Gene Wilder) in quello di Matteo Renzi, una sequenza che al convegno Forum PA, edizione 2014, generò un sentito e divertito applauso da parte di tutti i presenti nella sala dell’auditorium del Palazzo dei Congressi di Roma. Il famoso “SI PUO’ FARE!” che, nei successivi due anni, è divenuto un tormentone, poi ripreso un po’ ovunque nell’universo Internet.
Recentemente ho anche realizzato una pillola pubblicitaria, per il lancio di un importante evento organizzato dall’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione Digitale (ANORC), il DIG.Eat 2016, che si terrà a Milano il prossimo 11 maggio.
Tutto ciò non per vantarmi di alcunché, piuttosto per sottolineare che sono stato molto fortunato ad aver incontrato un dirigente che, in me, ha saputo guardare all’individuo, prima che alla figura professionale, donandomi in tal modo l’opportunità di non avvizzire nella nullafacenza, ma di poter esprimere pienamente la mia creatività.
Mi domando, per uno che ha fortuna, quanti altri sono costretti a soccombere sotto le macerie di una burocrazia ormai fossilizzata su intransigenti e rigorose posizioni istituzionali? Quanti perdono totalmente le speranze, senza aver mai potuto esprimere il potenziale di cui sono dotati? La gestione delle risorse umane può essere demandata alla dea Fortuna?
Domande ovviamente retoriche.
Come già accennato precedentemente, la mia qualifica funzionale non mi permetterebbe di sviluppare e realizzare materiale multimediale, anzi, in realtà credo proprio che non esistano qualifiche che lo consentano, ma, detto per inciso, la realizzazione di questo materiale è solo una piccola porzione del mio lavoro, che ovviamente comprende anche argomenti e materie amministrative più tradizionali. Come è possibile realizzare tutto ciò? Solo grazie ad una perfetta orchestrazione di squadra. A tal riguardo, voglio sottolineare che lo stesso Luca Attias, sovente, afferma che il suo essere un “front-man” nei diversi contesti e manifestazioni, in effetti, è frutto di un complesso ed impegnativo lavoro di squadra.
«In passato mi sono state fatte diverse, allettanti proposte lavorative sulla base dei risultati che, secondo i miei interlocutori, “io” avevo già raggiunto presso la Corte dei conti. In risposta a tali proposte, giungeva puntuale la mia osservazione sul fatto che, quei risultati costituivano il frutto di un complesso lavoro di squadra, e che, isolatamente, non sarei mai stato in grado di replicare. Ebbene, il genuino attonimento dei miei interlocutori a questa mia risposta mi lasciava intendere come, da questo punto di vista, in Italia esistesse un serio problema strutturale e che l’esempio di grandi manager, tra i quali Adriano Olivetti, nel corso del tempo sia stato bellamente ignorato o, nel migliore dei casi, male interpretato» (Luca Attias).
Non sono il più bravo, non sono il più importante, sono solo uno dei membri della squadra ed eseguo la parte di lavoro che mi compete con semplicità, impegno e passione. Nella nostra organizzazione, la competizione non rappresenta un fattore emblematico; ci sentiamo tutti bravi ed importanti in virtù delle nostre specifiche competenze. Tutti pariteticamente “fondamentali” per il raggiungimento degli obiettivi prefissi.
Pertanto, non ci si deve meravigliare se, come altri miei colleghi del team, a volte ci ritroviamo a lavorare da casa, di notte, o nei giorni festivi. Non lo facciamo per costrizione, ma con entusiasmo sincero e genuino, semplicemente perché percepiamo nel nostro intimo che questa è la cosa giusta da farsi.
Se oggi, dopo tanti anni, affronto la mia quotidianità professionale con questo spirito, devo essere grato alla mia Amministrazione, perché ha saputo valorizzare profondamente le mie attitudini personali e le mie competenze professionali, ben oltre i limiti imposti dalle mere qualifiche funzionali.
Tanto, tanto tempo fa, qualcuno intonava:
«Lasciatemi cantare
con la chitarra in mano
lasciatemi cantare
una canzone piano piano.
Lasciatemi cantare
perché ne sono fiero
sono un italiano
un italiano vero.»
Anche io mi ritengo un italiano vero. Un italiano che, a dispetto dei tanti problemi del proprio Paese, crede ancora, molto fermamente, nel significato sotteso dalla bandiera tricolore e dall’emblema della Repubblica Italiana.
Quando mi è stata donata l’opportunità di narrare questa mia storia, ho pensato ad un racconto semplice, fatto di cose semplici, le stesse di cui sono molto fiero.
Sono un italiano, sono fortunato, ed oggi lo voglio cantare.