Corruzione, sprechi, inefficienze, una Pubblica Amministrazione che non funziona.
Niente di nuovo. Oramai ci siamo abituati.
Eppure, incredibile a dirsi, nella Pubblica Amministrazione sono da sempre presenti un numero rilevante di professionalità di alto profilo e persone corrette che svolgono quotidianamente il proprio dovere in mezzo a mille difficoltà.
Resta allora da chiedersi come mai queste realtà non riescano ad emergere, ad avere la meglio, ed essere loro il volano del cambiamento.
Qualsiasi organizzazione sociale, comprese quindi strutture e apparati della Pubblica Amministrazione, può essere paragonata ad un organismo vivente, di cui è bene monitorare in maniera sistematica lo stato di salute.
Quando è evidente che l’organismo si sta ammalando, ma non si effettuano i giusti controlli, spesso accade che si provi a somministrare “terapie a largo spettro”, magari sovrapponendo medicine diverse i cui effetti si stratificano, rendendo poi complicato e soggettivo distinguere i farmaci utili da quelli inutili o nocivi.
Può capitare in questi casi che l’organismo si aggravi ulteriormente, e ci si vede giustificati a ricorrere a terapie d’urto e misure di emergenza, spacciate dal “guru-medico” di turno come miracolose, ma che in realtà di solito hanno come primo (e forse unico) effetto la morte delle cellule sane prima ancora di quelle malate.
Purtroppo questo è quello che spesso accade nella PA.
Ma siamo proprio convinti che non sia possibile adottare strategie più intelligenti?
Un errore che si continua a commettere, e che passa spesso inosservato, è invece quello di “trascurare” o prestare poca cura alle organizzazioni e alle strutture sane, ovvero a quegli esempi di “buon funzionamento” della PA che restano “soffocati” e non emergono agli occhi dell’opinione pubblica.
Cerchiamo di osservare dall’interno alcune situazioni, portando avanti la nostra metafora.
Un organismo sano in cui entra un batterio o un virus letale cerca di reagire facendo affidamento sui suoi anticorpi che tentano di “fare il proprio lavoro” e respingere come possono l’attacco alle strutture vitali.
Se non ci si accorge subito del fenomeno, si minimizzano sintomi di malore, e non si interviene adeguatamente e con competenza nello “sradicare il male”, gli anticorpi rischiano di soccombere, e quelle cellule potenzialmente “sane” iniziano a degenerare, finché la situazione diventa incontrollabile e ingovernabile.
Meccanismi di “incancrenimento” che chi lavora nella Pubblica Amministrazione con un minimo di senso civico, purtroppo e con grosso rammarico, riconosce bene.
Quale dovrebbe essere allora il processo virtuoso in grado di salvare la vita al nostro povero organismo?
Quando inizia a manifestarsi un virus letale, la prima cosa che fanno i ricercatori per combatterlo è provare ad isolarlo per comprenderne le caratteristiche, le forme e i suoi punti deboli.
Solo dopo la fase di studio e di analisi, il virus sarà perfettamente riconoscibile nei suoi comportamenti e sarà possibile iniziare la fase di sperimentazione di un vaccino.
Tornando alla PA, la domanda che mi sembra centrale è capire se oggi siamo in grado di isolare il “male”, di riconoscerlo e di classificarlo per gravità, per poi trovare i giusti meccanismi per estirparlo o addirittura evitare che attecchisca.
La normativa messa in campo in questi anni (dalla legge anticorruzione al sistema di valutazione dei dipendenti pubblici per fare qualche esempio) sono davvero strumenti efficaci in questo scenario?
Per quale motivo, invece, non si riesce ad individuare una strategia in grado di creare e rafforzare “centri di valore” e una metodologia di aggregazione dei “casi di successo”, per farli uscire dalla nicchia e diffondere l’etica e la “cultura dei valori”?
Non è infatti basandosi su etica e correttezza che si riesce a collocare le persone con le giuste capacità al posto giusto, a valorizzare le competenze, a creare sinergie e rispondenze tra risorse, interne ed esterne, a evitare inutili duplicazioni di ruoli, sprechi e frustrazioni professionali, a rimuovere le “scatole vuote” create solo per mascherare incapacità ed inefficienze?
Di fronte a scenari talmente critici, qualsiasi realtà privata che non adottasse le giuste contromisure sarebbe destinata ad un rapido fallimento; nel pubblico purtroppo il fallimento non è previsto o forse non interessa.
L’impressione insomma è che ci si sia talmente assuefatti al “male oscuro” che, a tutti i livelli, ci si trascini in uno stato di inerzia e di astenia a cui non si ha più voglia di reagire.
Nel frattempo le pagine dei giornali e le reti televisive si riempiono a forza di scandali e dibattiti sterili, che tanto piacciono al popolo italiano, che ad altro non servono se non ad alimentare “chiacchiericcio” e malcontento, non affrontando in modo lucido il problema.
Sono stati fatti sino ad oggi gli studi appropriati per isolare il virus? Come distinguo una cellula sana da una malata? Quali strumenti consentono di scovare, senza ombra di dubbio, l’apparenza ingannevole del male? Chi ha il dovere i fornirli? Chi ne deve usufruire?
Temi così rilevanti dovrebbero essere al centro dell’interesse collettivo; al momento sembrano invece essere di nessuna importanza agli occhi dell’opinione pubblica.