Negli ultimi anni Roma sta provando a diventare una vera e propria capitale europea, almeno nell’ambito della street art. Per quantità e qualità di murales realizzati, è prossima a superare città quali Londra e Berlino, da sempre roccaforti dell’arte di strada. In giro per Roma, da Quadraro a Ostiense, passando per Pigneto, Garbatella, Primavalle e Pineta Sacchetti, fin su su a Labaro o a Giustiniana, la città è invasa di murales che hanno strappato dal grigiore se non le strade, almeno i muri.
Ma perché si disegna così tanto a Roma?
Ci possono essere varie risposte a questa domanda, ma quella che mi piace di più è intimamente connessa al concetto della Cittadinanza Attiva, esercitata in particolar modo in periferia, l’humus ideale per la diffusione della street art.
Diciamo ideale, perché veicolo formidabile per il suo riscatto.
Realizzare un murale in periferia accende un faro su di essa, destando l’interesse della gente che va a visitare luoghi che non aveva mai visto prima. Quel quartiere non diventa solo più attrattivo, ma offre alle persone che vi abitano una speranza di riscatto. Tutti si stringono intorno a quel disegno, lo amano e lo proteggono. A Primavalle, quartiere della periferia nord ovest di Roma, la cabina dell’ACEA disegnata da Omino71 è stata enfaticamente definita dal movimento promotore del progetto, Muracci Nostri, “la nostra torre Eiffel”. In tre parole: attenzione per le periferie, orgoglio, senso identitario.
Dove non è arrivata la politica, nelle periferie di Roma è arrivata la street art.
La de-istituzionalizzazione di questo fenomeno è stata, per l’appunto, la chiave per il suo sviluppo e la sua sopravvivenza.
A Pineta Sacchetti, vicino Primavalle, un progetto di street art denominato Pinacci Nostri, ha visto la presenza di molti artisti che hanno aderito al progetto previa rassicurazione del fatto che fosse dal basso, ovvero non finanziato dalle istituzioni.
In questo caso specifico, sono stati i cittadini stessi, con una colletta popolare, ad acquistare le vernici mettendole a disposizione degli artisti, che hanno realizzato a titolo completamente gratuito le proprie opere, sposandone in pieno l’idea.
Disegnare per giorni lungo un marciapiede ha portato la gente a fermarsi, le persone a conoscersi, gli artisti a condividere un muro insieme. Quel dialogo, inesistente in una città disgregante come Roma, ha avuto inizio e, mentre i giorni passavano e sempre più persone si fermavano, è nato un movimento spontaneo di cittadini che ha preso a cuore il posto in cui vive. Cittadini Attivi si preoccupano e si occupano di portare arte e cultura laddove non c’è, riscattando quel luogo.
Pinacci Nostri è solo uno dei tanti progetti di street art dal basso che hanno preso piede a Roma negli ultimi anni. I murales realizzati nell’ambito di questo progetto, in particolare, raccontano storie reali del quartiere. Percorsi di street art gratuiti rivolti alle famiglie e ai bambini del quartiere, ma, soprattutto, a persone di altri quartieri di Roma o turisti, rendono questa periferia conosciuta, trasformandola da “non luogo” a “luogo”.
E’ un passaggio “politico apolitico”, diciamo pure a-partitico, che già il termine “movimento dal basso” tende bene a inquadrare.
Ma finirà. La street art morirà.
Quando Roma fu invasa dagli artisti di strada, che cominciarono a riempire le piazze con i loro spettacoli, la giunta capitolina fu costretta ad intervenire “a posteriori”, emanando uno specifico regolamento.
In questo senso, anche la street art sarà presto sottoposta a un “piano regolatore”, data la vastità del fenomeno. Non sarà semplice: chi potrà ergersi a giudice, affermando che una Madonna meravigliosamente realizzata da Klevra, uno degli street artist più famosi della scena romana e internazionale, possa disturbare la vista del non credente che tutti i giorni se la ritrova di fronte aprendo la finestra di casa sua? Al massimo, si potranno definire i colori da utilizzare, così come avviene oggi per il regolamento dell’edilizia, il cosiddetto “piano del colore”, secondo il quale, ad esempio, un istituto scolastico deve essere grigio mentre le case in centro solo gialle, rosse o arancioni.
Quando uscirà questo regolamento la street art non sarà più libera e, inevitabilmente, morirà. E con essa tutti i sogni, i desideri della gente e le reali motivazioni che hanno portato a questo boom.
Ma non sarà solo l’istituzionalizzazione del fenomeno a decretarne la fine.
Già oggi si assiste a Roma al business della street art, alla sua speculazione per tour a pagamento, gadget e merchandising, anticamera del processo di gentrification che ha investito alcuni quartieri di Roma, come ad esempio il Pigneto. Le opere d’arte sui muri hanno reso talmente attrattivi quei luoghi contribuendo all’ apertura di locali del divertimento, movida ecc ecc. Come ci insegna la nostra amica Irene Ranaldi, sociologa, un panino con la mortadella che costava 1,50 euro viene venduto come street food a 5 euro. Ma è sempre lo stesso panino. Il Pigneto si è trasformato da quartiere a “brand”, con innalzamento degli affitti delle case e conseguente espulsione dei residenti, in primis proprio gli artisti, che si sono spostati nella più economica (e vicina) Torpignattara, non a caso sempre più invasa dalla street art.
Al Quadraro, alcuni residenti scarabocchiano (in gergo: crossano) i murales del progetto MuRo di Diavù, perché temono l’avvio di un processo di gentrification nel proprio quartiere, il suo snaturamento (da quartiere popolare a luogo di movida) e un aumento dell’affitto che dovranno pagare.
Infine, a Bologna, è stato recentemente tentato l’esperimento dello “stacco”, ovvero alcuni murales sono stati rimossi dai muri e portati nei musei. Come mettere una pantera in cattività. Per questo motivo, il notissimo artista Blu si è autocancellato, prima che ciò accadesse.
Troppi indizi per dire che, purtroppo, un murale non ci salverà. Pur essendoci andato molto vicino. In questo nuovo scenario, secondo me, molto giocherà la Cittadinanza Attiva e le azioni di resistenza che riuscirà a mettere in campo per arginare questa speculazione, riportando la street art al suo ruolo naturale: quella di unire la gente e di offrirle uno strumento invincibile per farsi sentire, così come ci ricorda proprio un murale del progetto Pinacci Nostri, che ripete, in sei lingue, “Muro pulito, popolo muto”.