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Cittadini Attivi: riportare l’impegno civico al centro della nostra azione quotidiana

Al caro Alessandro, nella speranza che non smetta mai di ascoltare i consigli del suo cuore”.

La dedica ad inchiostro blu spicca al centro della prima pagina del libro, ormai irrimediabilmente ingiallita dal tempo. Passo la mano sulla copertina plastificata di “Cuore”, una vecchissima edizione stampata nel 1972 a cura dell’editrice “La Sorgente”, che ho ricevuto in regalo per un mio compleanno. Con un velo di commozione, tento di recuperare il mio vissuto di allora, ormai distante ed inafferrabile, di cui rimangono solo fievoli sfumature.

«Papà, che fai?»

«Nulla di importante, sto sfogliando un vecchissimo libro di quando ero bambino. Piuttosto, tu non dovresti essere già a letto?»

«Se vado, mi racconti di cosa parla il libro?»

Annuisco. Accendo la piccola lampada sul comodino, le rimbocco le coperte e comincio il mio racconto: «C’era una volta un bambino di nome Enrico, che frequentava la terza elementare in una città chiamata Torino. Enrico teneva un diario e ci annotava tutte le vicende che accadevano durante il corso dell’anno scolastico. Nella sua classe c’erano tanti bambini, provenienti da ogni parte d’Italia: bambini molto poveri e bambini benestanti, bambini buoni e generosi, ma anche cattivelli ed indisciplinati, quelli studiosi e quelli svogliati…»

Mi volto, Francesca dorme di già.

Sorrido e rimango nella penombra, sdraiato vicino a lei, col libro tra le mani ed inizio a sfogliarlo. Ricordo che la mia maestra ci spiegò quali fossero stati gli insegnamenti ed i principi che l’autore aveva inteso trasmettere: il profondo senso civico e morale, gli ideali etici, in particolare l’amor patrio, il rispetto per l’autorità, per l’esercito, la centralità del ruolo dei genitori, della scuola e dell’educazione, ma anche il valore della dedizione e dell’impegno fin quasi al sacrificio. Un sentimentalismo profondo e commovente, per il quale, nel corso dei decenni, Edmondo De Amicis è stato duramente criticato.

Accendo il portatile e faccio una veloce ricerca. Il romanzo fu pubblicato nel 1886, ambientato nell’Italia unificata e governata da Re Umberto I, che era stato incoronato già nel 1878. Il suo successo fu immediato: 41 edizioni, traduzioni in tutto il mondo, ben due milioni di copie vendute in pochi anni. Questo libro è da considerarsi un vero e proprio documento storico della nazione italiana. Un’opera dall’elevato valore pedagogico che, ad oggi, giace quasi dimenticata e, da molti, considerata un romanzo ormai datato e retorico. Spengo il laptop. Mi immergo nuovamente nei ricordi e ricomincio a sfogliare il libro, questa volta leggendo alcuni passi, qua e là.

Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore.” (ottobre – Il ragazzo calabrese – 22, sabato).

Lo sai, figliuolo, perché non volli che ripulissi il sofà? Perché ripulirlo, mentre il tuo compagno vedeva, era quasi un fargli rimprovero d’averlo insudiciato. E questo non stava bene, prima perché non l’aveva fatto apposta, e poi perché l’aveva fatto coi panni di suo padre, il quale se li è ingessati lavorando; e quello che si fa lavorando non è sudiciume: è polvere, è calce, è vernice, è tutto quello che vuoi, ma non sudiciume. Il lavoro non insudicia. Non dir mai d’un operaio che vien dal lavoro: – È sporco. – Devi dire: – Ha sui panni i segni, le tracce del suo lavoro. Ricordatene. E vogli bene al muratorino, prima perché è tuo compagno, poi perché è figliuolo d’un operaio” (dicembre – Il muratorino – 11, domenica – TUO PADRE).

Ama il tuo maestro, perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari, sparsi per tutta Italia, i quali sono come i padri intellettuali dei milioni di ragazzi che crescon con te, i lavoratori mal riconosciuti e mal ricompensati, che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente. […] E pronuncia sempre con riverenza questo nome – maestro – che dopo quello di padre, è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo.” (dicembre – Gratitudine – 31, sabato – TUO PADRE).

Rispetta la strada. L’educazione d’un popolo si giudica innanzi tutto dal contegno ch’egli tien per la strada. Dove troverai la villania per le strade, troverai la villania nelle case.” (febbraio – La strada – 25, sabato – TUO PADRE).

“[…] è lui che governò l’Italia nel periodo più solenne della nostra rivoluzione, che diede in quegli anni il più potente impulso alla santa impresa dell’unificazione della patria, lui con l’ingegno luminoso, con la costanza invincibile, con l’operosità più che umana. […] E sempre il suo pensiero febbrile rivolava allo Stato, alle nuove provincie italiane che s’erano unite a noi; alle tante cose che rimanevan da farsi. Quando lo prese il delirio. – Educate l’infanzia, – esclamava fra gli aneliti, – educate l’infanzia e la gioventù… governate con la libertà. […] Il suo grande dolore, capisci, non era di sentirsi mancare la vita, era di vedersi sfuggire la patria, che aveva ancora bisogno di lui, e per la quale aveva logorato in pochi anni le forze smisurate del suo miracoloso organismo. Morì col grido della battaglia nella gola, e la sua morte fu grande come la sua vita.” (marzo – Il conte Cavour – 29, mercoledì – TUO PADRE).

Vedi: gli uomini delle classi superiori sono gli ufficiali, e gli operai sono i soldati del lavoro, ma così nella società come nell’esercito, non solo il soldato non è men nobile dell’ufficiale, perché la nobiltà sta nel lavoro e non nel guadagno, nel valore e non nel grado, ma se c’è una superiorità di merito è dalla parte del soldato, dell’operaio, i quali ricavan dall’opera propria minor profitto.” (aprile – Gli amici operai – 20, giovedì).

È morto. Il mondo intero lo piange. Tu non lo comprendi per ora. Ma leggerai le sue gesta, udrai parlar di lui continuamente nella vita; e via via che crescerai, la sua immagine crescerà pure davanti a te; quando sarai un uomo, lo vedrai gigante, e quando non sarai più al mondo tu, quando non vivranno più i figli dei tuoi figli, e quelli che saran nati da loro, ancora le generazioni vedranno in alto la sua testa luminosa di rendentore di popoli coronata dai nomi delle sue vittorie come da un cerchio di stelle, e ad ogni italiano risplenderà la fronte e l’anima pronunziando il suo nome.” (giugno – Garibaldi – 3, sabato. Domani è festa nazionale – TUO PADRE).

Ma sopra tutti ringrazio te, padre mio, te mio primo maestro, mio primo amico, che m’hai dato tanti buoni consigli e insegnato tante cose, mentre lavoravi per me, nascondendomi sempre le tue tristezze, e cercando in tutte le maniere di rendermi lo studio facile e la vita bella; e te, dolce madre mia, angelo custode amato e benedetto, che hai goduto di tutte le mie gioie e sofferto di tutte le mie amarezze, che hai studiato, faticato, pianto con me, carezzandomi con una mano la fronte e coll’altra indicandomi il cielo. Io m’inginocchio davanti a voi, come quando ero bambino, e vi ringrazio, vi ringrazio con tutta la tenerezza che mi avete messo nell’anima in dodici anni di sacrificio e d’amore.” (giugno – Grazie – 28, mercoledì).

La scuola è una madre, Enrico mio: essa ti levò dalle mie braccia che parlavi appena, e ora mi ti rende grande, forte, buono, studioso: sia benedetta, e tu non dimenticarla mai più, figliuolo. Oh! è impossibile che tu la dimentichi. Ti farai uomo, girerai il mondo, vedrai delle città immense e dei monumenti maravigliosi; e ti scorderai anche di molti fra questi; ma quel modesto edifizio bianco, con quelle persiane chiuse, e quel piccolo giardino, dove sbocciò il primo fiore della tua intelligenza, tu lo vedrai fino all’ultimo giorno della tua vita come io vedrò la casa in cui sentii la tua voce per la prima volta.” (luglio – L’ultima pagina di mia madre – 1, sabato – TUA MADRE).

Smetto di leggere. Mi volto nuovamente; Francesca dorme serenamente, cosciente di aver affidato il proprio cuore in mani sicure. Una riflessione adombra la mia mente, allora le sussurro: «In futuro, imparerai a fidarti anche di altri, oltre che della tua mamma e del tuo papà. Alcuni ti tradiranno, altri no. A volte il tuo cuore ti verrà restituito ferito e sanguinante. Succederà, puoi starne certa, anzi rappresenterà la parte più emozionante ed entusiasmante, in fin dei conti sperimentare e giocare col proprio cuore, e con quello altrui, è ciò che rende questa nostra esistenza meritevole della nostra più profonda passione.»

Francesca ha un sussulto e per un attimo apre gli occhi, quasi mi stesse ascoltando.

Sorrido e chiudo il libro. Forse è vero, questo romanzo può essere considerato un’opera ormai datata e retorica, ma è pur vero che, oggi, abbiamo l’urgente necessità di riportare alcuni valori, i più elevati ed irrinunciabili, al centro della nostra azione quotidiana, al centro del nostro pensiero e del nostro cuore. Non possiamo però sprecare altro tempo, perché il futuro non attenderà.

Abbiamo dunque l’obbligo morale di agire, a tutela di tutti coloro che hanno affidato il loro cuore nelle nostre mani.

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