Le regole

Cittadini Attivi. Per la gestione dei rifiuti servono regole comuni

di Serena Girotti e Raffaello Melchionda |

Semplificazione e unificazione di sistemi e regole per la raccolta differenziata: non sarebbe fantastico buttare un bicchiere di plastica a Roma in un raccoglitore che è identico a quelli che ci sono ad Avellino o a Modena?

Un gruppo attivo di cittadini che propone un modo diverso di raccontare la trasformazione della Pubblica Amministrazione. Sono le donne e gli uomini che hanno dato vita alla rubrica “Cittadini Attivi” su Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Quanti di noi si saranno chiesti, affittando un appartamento per vacanza o per lavoro in una città diversa dalla propria, “e adesso come li separo e dove li metto i rifiuti?”. Eh già, perché nel nostro Paese, non è poi così semplice differenziare a casa e smaltire fuori. A livello locale si hanno regole differenti, cassonetti differenti, modi di separazione e raccolta differenti e tutto questo dipende solo dalle scelte effettuate dallo Stato centrale che, almeno fino ad oggi, è in legislazione concorrente con le regioni; quindi, se nelle Marche la carta ed il cartone vanno insieme alla plastica, nel Lazio questi materiali sono divisi.

Secondo il rapporto rifiuti urbani stilato nel 2014 dall’ISPRA il divario tra le regioni “riciclone” e quelle meno virtuose aumenta nel tempo, tanto che alcune si trovano oltre il 50% di rifiuti urbani differenziati, mentre altre superano di poco il 25%.

La differenza di regolamentazione produce evidentemente due conseguenze: da un lato i costi della proceduralizzazione della raccolta e differenziazione dei rifiuti si moltiplicano per il numero delle realtà locali esistenti, dall’altro la moltiplicazione delle regole induce in confusione chi ne è il destinatario.

Un po’ come accade nella gestione dell’Information Technology nella nostra Pubblica Amministrazione, ci sono processi diversi e una miriade di programmi software differenti utilizzati per fare la stessa cosa. Tonnellate di software spesso inutile e scarsamente riutilizzabile.

Nel caso dell’immondizia, potrebbe essere proprio questa scarsa chiarezza a disincentivare il cittadino alla corretta gestione dei rifiuti, che si articola in soli quattro lineari passaggi: ridurre, riutilizzare, riciclare la materia, recuperare energia? Riciclo e produzione energetica sono fondamentali proprio in quei paesi che in questi anni stanno rispondendo meglio alla crisi economica.

La ripartizione dei rifiuti urbani vede l’Italia collocarsi in una situazione intermedia in Europa (vedi tabella).

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Leggendo una ricerca di Lorien realizzata per Legambiente nel terzo trimestre del 2015 emerge che soltanto il 5% degli intervistati aveva ammesso di non impegnarsi in alcun tipo di raccolta differenziata. A quel punto veniva loro richiesta la motivazione alla base di tale comportamento: il 36% rispondeva che era inutile separare a casa, poiché tutto sarebbe comunque andato in discarica, il 27% si dichiarava non interessato, il 18% si trincerava dietro una mancata previsione normativa, e un altro 18% si esimeva dall’ingrato compito a causa della lontananza dei cassonetti dalla propria abitazione.

Ma se il 95% del sicuramente rappresentativo campione – per sesso, età e area geografica – si proclama preoccupato per la produzione elevata e per la gestione inefficiente dei rifiuti domestici, ammettendo al tempo stesso che sono i cittadini con i loro comportamenti, ancor prima delle istituzioni, ad influenzare la salvaguardia dell’ambiente, come mai soltanto il 30% dei rifiuti viene raccolto e avviato al riciclo? In Italia le discariche rappresentano ancora la via principale per smaltire i rifiuti, nel centro sud mancano gli impianti per il trattamento e l’avvio a riciclo dei rifiuti, è inesistente qualsivoglia politica di prevenzione, i rifiuti speciali, anche pericolosi, oltre a costituire una pericolosa fonte di inquinamento per la salute dei territori e delle persone, continuano a finire nelle maglie delle ecomafie e della criminalità ambientale.

Lo scenario si complica se si pensa che già dietro una semplice busta della spesa si nasconde la criminalità organizzata. Quanto costa la busta di materiale completamente biodegradabile e compostabile? Siamo sicuri dei materiali utilizzati? Il tema lo sottopone Legambiente in un video denuncia, interpretato non a caso da Fortunato Cerlino uno dei protagonisti della serie televisiva “Gomorra”.

Ci sono soluzioni? Proviamo a passarne brevemente in rassegna qualcuna.

Semplificazione e unificazione dei sistemi e delle regole che presiedono alla raccolta differenziata: non sarebbe fantastico poter buttare un bicchiere di plastica a Roma in un raccoglitore che è identico per colore e contenuto a quelli che ci sono ad Avellino o a Modena?

Attuazione di una politica di incentivi e disincentivi: questi potrebbero rendere la prevenzione e il riciclo più convenienti, anche economicamente, rispetto al recupero energetico e allo smaltimento in discarica. Ai beni realizzati con una percentuale minima di materiali riciclati potrebbe essere applicato un regime di IVA agevolata. In tale ottica si è mosso il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il quale, nell’ottica di promuovere gli acquisti cosiddetti verdi, rende obbligatoria l’adozione dei criteri ambientali minimi nei contratti pubblici, introducendo il criterio di aggiudicazione sulla base del costo lungo il ciclo di vita, così da ridurre la spinta verso il continuo ribasso dei prezzi a scapito dell’ambiente e del lavoro dignitoso.

Raccolta differenziata domiciliare: secondo uno studio del 2013 del gruppo Hera sui “Modelli territoriali a confronto”, il porta a porta garantisce percentuali di differenziazione più alte rispetto all’uso dei cassonetti, sebbene costi più del triplo. Si potrebbe perciò pensare di utilizzare questo tipo di raccolta ma solo per brevi periodi, in modo da ridurne i costi elevati, che rappresentano una forte attrattiva per le ecomafie; allo stesso tempo, si potrebbero sensibilizzare i cittadini non solo al corretto conferimento dei diversi materiali, ma soprattutto al ridimensionamento della quantità di rifiuti prodotti ogni giorno.

Dematerializzazione: anche in questo ambito se ne può parlare, riducendo o eliminando l’uso di materiali nello svolgimento di una funzione, nell’erogazione di un servizio, o sostituendo un bene con un servizio. Un esempio può la digitalizzazione dei documenti e l’informatizzazione dei processi e delle comunicazioni quali la fatturazione e il pagamento di bollette online, l’acquisto di biglietti elettronici, ma anche più in generale la condivisione di uno stesso bene fra più persone con il conseguente passaggio dal possesso all’utilizzo, come ad esempio il car sharing o il book sharing. Alla dematerializzazione è, inoltre, indirettamente riconducibile anche il miglioramento dell’efficienza con cui si utilizzano le risorse materiali grazie, ad esempio, al riutilizzo di un bene, all’eliminazione o all’alleggerimento di un imballaggio.

“Chi inquina, paga”: chi produce meno rifiuti deve essere premiato. Il sistema di tariffazione a carico delle famiglie e delle aziende deve essere equo e premiare i comportamenti virtuosi.

Dare il buon esempio: negli anni ‘90 a scuola si studiava l’educazione civica e quando si buttava per terra una carta, c’era chi ti rimproverava dicendo che eri un gran maleducato, anzi ineducato. Non c’erano spettacoli teatrali che ci insegnassero che la nostra è la Costituzione più bella del mondo, lo si imparava a 10 anni articolo per articolo e lo si elaborava crescendo giorno dopo giorno. A scuola l’educazione civica non c’è più (menomale è rimasta la Costituzione). Peccato! Sarebbe stata una bella occasione insegnare a ridurre e a riutilizzare i rifiuti, e aiutare i giovani anche nella difficile opera di separazione dei rifiuti.

Nulla però è perduto: in famiglia con l’esempio di tutti i giorni si può alimentare il senso civico di ognuno, perché “tutti insieme siamo tanti” e  “continuare non è soltanto una scelta, ma è la sola rivolta possibile” nell’attesa che qualcuno si accorga che manca completamente una strategia nazionale, un coordinamento e un’organizzazione. Ma quando finalmente qualcuno se ne accorgerà non è che poi inizierà a scrivere una complicatissima disposizione normativa, magari “perché è l’Europa che ce lo chiede”, e non è che forse non la applicherà nessuno perché magari non detta sanzioni oppure perché semplicemente inapplicabile nel nostro contesto?

Forse aveva ragione Woody Allen: per avere pulizia non bisogna buttare l’immondizia, ma riciclarla negli show televisivi.

(Immagine di copertina di Alessandro tr3regine)

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