E’ possibile rintracciare un punto di non-ritorno nel “fantasioso” mondo delle presentazioni aziendali? Forse sì.
Giugno 2006, presentazione “An Inconvenient Truth“ di Al Gore. Un successo planetario. L’obiettivo dell’ex vicepresidente americano era quello di creare una campagna di sensibilizzazione sull’impatto dei cambiamenti climatici. Il mezzo principale impiegato nella campagna è stato, in realtà, un documentario televisivo (che tra l’altro ha vinto l’Oscar come miglior documentario). Tuttavia questa iniziativa ha dato il via ad una serie di conferenze, tenute da Al Gore, in giro per il mondo, alcune delle quali sono state organizzate all’interno del contenitore TED*. E qui qualcosa è successo.
E’ successo che in occasione del successo del progetto di Al Gore la comunità business si è cominciata ad interrogare su quel tipo di contenuto così attraente, maturo… giusto! L’attenzione su quella produzione è andata via via crescendo facendo emergere tutte le professionalità che hanno contribuito a quel successo. Si è cominciato a capire che per realizzare un intervento di quella qualità non è sufficiente un interprete molto capace ma c’è bisogno anche di tanti altri profili. Autori, registi, copywriter, designer, data analyst, motion grapher, costumisti eccetera, eccetera ed eccetera…
Sono così emersi dei nomi importanti come Nancy Duarte, Garr Reynolds e tanti altri che si sono poi imposti, negli anni successivi, come dei guru delle presentazioni aziendali.
Tutte queste nuove competenze, nonostante le varie specializzazioni (testo, grafica, animazioni, design ecc…) ruotano tutte intorno alla nuova filosofia della comunicazione aziendale: lo storytelling. Niente di più semplice. Niente di più difficile…
Dal 2006 ad oggi molto è cambiato. Molte aziende hanno sposato i principi dello storytelling per raccontare i propri successi. La qualità, come sempre, è risultata molto variabile ma il trend oramai è segnato. Sono nati nuovi profili e sono cominciate ad essere allocate delle risorse a questo tipo di progetti di comunicazione.
In generale si è però consolidato un metodo che prevede la costruzione di una storia che viene poi rappresentata da un manager, spesso su un palco. Il manager dovrebbe avere il vantaggio di essere credibile, grazie al proprio ruolo, ma poi il successo si gioca tutto sulla qualità dell’intervento. Due elementi su tutto: testo ed interpretazione. Molti manager hanno delle doti innate di public speaking altri no.
Per questo motivo, da qualche anno, abbiamo cominciato a lavorare su testi business che potessero essere interpretati da attori professionisti. Attraverso questo approccio si sono aperti degli scenari comunicativi di grande valore.
L’attore è, giusto per inquadrare il problema, un comunicatore professionista. La sua vocazione è stare sul palco ed intrattenere la propria audience. E’ il suo mestiere. E’, normalmente, una persona che si attende di essere guidata verso la giusta impostazione dell’interpretazione, il che lo distingue da molti manager che mal sopportano suggerimenti “teatrali”. In ultimo, l’attore, è quel soggetto in grado di replicare lo stesso intervento una o più volte nello stesso giorno e, guarda caso…, la maturità di un intervento è funzione del numero di repliche dello stesso. Con questo approccio e con la fiducia di importanti aziende e istituzioni come Enel, H3G, NTT Data, Comune di Roma, Regione Lazio ed altre ancora, siamo riusciti a sviluppare diversi progetti che prevedevano l’impiego di attori per comunicare messaggi di business. Ma, per fortuna, non siamo i soli a ritenere utile l’impiego di professionalità del mondo “creativo” all’interno del mondo “business”. Il progetto “H Factory” sviluppato dalla Scuola Holden di Torino si prefigge l’obiettivo di “Raccontare storie per cambiare la vostra Azienda”, più chiaro di così… La loro idea è quella di sviluppare, insieme alle aziende clienti, dei progetti di Corporate Storytelling grazie al contributo di registi, scrittori, editor, giornalisti, sceneggiatori, autori tv e digital strategist.
Anche in questo caso, analizzando l’approccio della Scuola Holden, salta fuori che non esiste una bacchetta magica che riesca a trasformare la comunicazione aziendale da “poco professionale” ad “attraente”. Esiste invece un percorso, da percorrere in collaborazione con tante professionalità diverse, per arrivare al traguardo di uno storytelling maturo, credibile, attraente e, in una parola, professionale.
A metà del 2016 abbiamo però voluto fare un ulteriore passo in avanti. Abbiamo cercato di ricombinare insieme, ma con una formula diversa, gli stessi ingredienti che stavamo maneggiando da anni: autori, registi, scenografi, attori, illustratori.
La nuova idea è stata quella di voler raccontare, attraverso una serie di eventi in sala, la storia delle più importanti aziende dot-com: Google, Facebook, Amazon e Airbnb. Perché?
Perché ci siamo convinti che, nonostante tutte le informazioni di cui già disponiamo, ci sia un’enorme curiosità sul percorso che hanno seguito questi grandi progetti globali. Da start-up squattrinate a monopoliste mondiali. In questo percorso a tappe che abbiamo affrontato negli anni, siamo giunti ad un traguardo nuovo: il Business Entertainment. Le storie che proponiamo alle aziende non sono più solo e soltanto le storie delle aziende clienti, ma possono essere anche delle storie di fenomeni imprenditoriali non legati al settore di business del cliente.
Da questa piccola frattura tra realtà del cliente e racconto di una storia di business “di altri” possono nascere progettualità e declinazioni che è assolutamente impossibile prevedere. Siamo forse di fronte ad una nuova frontiera della comunicazione aziendale? E’ possibile, ma per usare le parole di Larry Page (co-fondatore di Google): “qualsiasi progetto che si riesce ad immaginare probabilmente è possibile realizzarlo. Bisogna solo lavorarci!”.