Al termine dei 15 mesi di attività, la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione nelle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie e della comunicazione, ha reso la propria Relazione conclusiva dei lavori. Se ne trae l’istantanea di una P.A. che dal punto di vista di analisi di un dipendente pubblico – che è esso stesso un cittadino digitale – è distante dal modello di P.A. digitale, ideale, prefigurata nel tempo dal Legislatore.
Il Modello di governance digitale della P.A. a cui tendere, realizza, infatti, una gestione completamente digitale dei documenti, dei dati e delle informazioni (formazione, sottoscrizione, trasmissione, conservazione), nel loro fluire dai e nei procedimenti amministrativi, previamente identificati, revisionati, semplificati e resi disponibili sul sito web istituzionale, nel rispetto dei diritti di cittadinanza declinati nella Carta di cui all’art. 1 della Legge delega n. 124/2015. Invece, l’attuale, persistente, “scarsa conoscenza e applicazione della normativa relativa al digitale, con particolare riferimento al D.Lgs. n. 82/2005 (CAD), mina i principi di legalità, buon andamento e responsabilità in quanto vengono costantemente violati i diritti di cittadinanza digitale senza apparente contestazione alcuna”.
L’analisi ad ampio spettro svolta dalla Commissione, fatta di una moltitudine di audizioni e di acquisizioni documentali “digitali”, di un’analisi di contesto (ricostruzione puntuale della – mancata – governance nazionale della P.A. digitale) e di alcuni filoni di indagine (Anagrafe Nazionale Popolazione Residente – ANPR; Sistema Informativo Agricolo Nazionale – SIAN; Analisi dei dati della spesa in ICT; Verifica dell’attuazione del CAD) rende, purtroppo, evidente una diversa quotidiana gestione.
La P.A. – eppur – si muove ancora “a due velocità: da una parte il front-office, che fa registrare risultati perlomeno soddisfacenti” nel rapporto con cittadini e imprese (attraverso l’utilizzo di canali telematici di comunicazione e i siti web con contenuti sempre più standardizzati, pur in assenza spesso di possibilità per l’utente di esprimere la propria soddisfazione sul servizio), “e dall’altra il back-office, che evidenzia tutta la difficoltà delle amministrazioni nell’utilizzo dell’ICT nei suoi processi interni… dove le amministrazioni palesano gravi criticità, ritardi, resistenze ed inadempienze”. La P.A. si affida ancora troppo alla carta, quale retaggio della “cultura analogica dell’amministrazione novecentesca, diffusa tra i funzionari e i dirigenti pubblici, che mantiene ancora in vita i faldoni di documenti cartacei, diffonde ritrosia nell’utilizzo della firma digitale ed impedisce la completa produzione dei documenti nativi digitali..”.
Così, tanto per rendere tangibile la dimensione analogica, emerge che “…l’87 per cento dei comuni prevede ancora dei procedimenti che hanno bisogno di apposizione di timbri, di firme autografe, di sigle a margine, di bollinature o altre procedure analogiche”. Questa l’istantanea. Guardando in prospettiva è necessario considerare che, da un lato, con la legge di Bilancio 2017 è stata data attuazione al Piano Nazionale Industria 4.0 per il rilancio della competitività delle imprese italiane, con sostegni dei programmi di investimento anche in competenze digitali e di innovazione tecnologica e, dall’altro, per le P.A., l’avvio del Piano triennale per l’informatica 2017-19, quale modello di riferimento per lo sviluppo dell’informatica pubblica italiana e la strategia operativa di trasformazione digitale del Paese.
Dunque, non ci sono più scuse, il Parlamento e il Governo hanno definito un contesto nazionale coerente con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea. Ciò significa che, a questo punto, occorre verificare all’interno delle P.A. la compliance dei processi organizzativi e i procedimenti al cambiamento, superando “la logica dell’adempimento simbolico”. Oggi e domani, nel processo di governance dell’innovazione, quale motore propulsore del cambiamento, risulta fondamentale, intanto, rimettere al centro la persona, il cittadino, il dipendente pubblico (apicale e non) che, consapevole dell’emergenza (anche “attraverso un adeguamento delle competenze” ed “un massiccio investimento in formazione”), deve costituire parte attiva dello switch-off.