Oggi ho deciso di consigliarvi una lettura, ma non vi chiedo di recarvi alla più vicina libreria perché, d’accordo con l’autore (terminate tutte le copie cartacee in vendita a disposizione dell’editore), vi propongo il download del libro “Digital divide et impera. Il ritardo del digitale è un caso?”, di Maurizio Matteo Dècina.
Libro che, tra le altre cose, gode di una pregevolissima postfazione a cura del Prof. Francesco Vatalaro, esperto del settore, e una intervista inedita a Luca Attias, che di certo non ha bisogno di presentazioni, al quale ben si adattano il contesto e lo spirito con i quali il libro è stato redatto. Le tematiche affrontate nel testo, infatti, sono state spesso trattate da Luca e dai Cittadini attivi che da tempo scrivono su questa rivista; non la semplice denuncia sociale o etica, ma la ricerca di soluzioni e la consapevolezza di essere cittadini (nel caso dei Cittadini attivi, veri “civil servant”) con il compito civico di sensibilizzare la comunità.
Io sono un “digital immigrant”, un immigrato digitale, una persona cioè che è cresciuta prima delle tecnologie digitali adottandole in un secondo tempo.
L’adozione è avvenuta circa 35 anni fa e le tecnologie digitali mi forniscono ancora il pane quotidiano. Mi adopero ogni giorno per avvicinare e spronare i cosiddetti “tardivi digitali”, persone cresciute senza tecnologia, ad eliminare la diffidenza che li separa dall’uso che, a tutt’oggi, è diventato consuetudine ed esigenza quotidiana.
Il libro di Dècina mi è stato consigliato da un collega col quale sono in perfetta sintonia ed appena ho trovato il tempo e la giusta concentrazione, me lo sono “divorato” in un paio d’ore.
E’ un testo che mi piace in quanto scorre via in maniera molto fluida e risulta comprensibile anche a tutti coloro che lavorano al di fuori di questo argomento o che si trovano a digiuno di conoscenze informatiche.
Viviamo tempi abbastanza caotici e molti accadimenti vengono tenuti nascosti o addirittura insabbiati ad hoc, ma vorrei tenermi distante dalla retorica, dagli slogan che vedono la Capitale del nostro Paese identificata come emblema di una corruzione sempre più dilagante.
Vorrei tenermi al di fuori di prese di posizione, al contrario tenterei un salto di qualità sostituendo l’individualismo con l’etica; bisogna iniziare a fornire una corretta informazione che è alla base di qualsiasi sistema legale e trasparente.
Il libro mi ha convinto perché bada alla sostanza offrendo informazioni precise, numeri e statistiche sia a livello quantitativo che qualitativo, confrontando la situazione dell’Italia a quella dei paesi europei, oggettivando diversi fenomeni …questo è il leitmotiv.
Secondo Thomas H. Huxley: “la scienza non è altro che senso comune opportunamente addestrato e organizzato”; dello stesso parere è anche Albert Einstein: “la scienza non è altro che un affinamento del pensiero quotidiano. Infatti, sia lo scienziato sia l’uomo comune, per la produzione di conoscenza, raccolgono informazioni (garantite da evidenza empirica) per trovare la soluzione a un determinato problema, o meglio, la risposta a una precisa domanda per la quale non ritengono di possederne già una accettabile”.
Il metodo adottato dall’autore è affascinante in quanto fonde due modi di procedere: quello della conoscenza scientifica e quello guidato dalla saggezza quotidiana, in quanto rende espliciti i fatti e le scelte ipotetiche da adottare.
Apprezzo questo libro perché esplicita i criteri che guidano una buona ricerca e mette a punto come è stata condotta per ottenere e confrontare i risultati, evidenziando un carattere esclusivamente pragmatico con un livello di attenzione sempre alto.
L’obiettivo della ricerca va oltre l’approccio conoscitivo di sola esplorazione dell’argomento; sembra quasi che l’autore proceda sia per soddisfare la propria curiosità e il desiderio di una comprensione migliore sia per verificare la possibilità di sviluppare i metodi necessari per ulteriori e più approfonditi studi.
Credo che la particolarità degli eventi e delle situazioni narrate sarebbe difficile da descrivere senza l’apporto di tali studi; lo scopo più cruciale della ricerca è spiegare questo fenomeno sociale conservando originalità e chiarezza.
Il testo riesce ad essere comunicativo in quanto permette di ipotizzare soluzioni valide sia per deduzione, muovendo cioè da concetti verso dettagli particolari, sia per il percorso induttivo contrario, adottando i due sistemi logici; nella sua semplicità spiega lo stato delle cose cercando di scoprire o evidenziare alcune cause di questi importanti e gravi fenomeni sociali. Risulta altresì valido in termini di utilità conoscitiva: un concetto è tanto più valido, o utile, quanto meglio riesce a suggerire una definizione operativa che risponda a esigenze determinate.
Alcuni passi del testo mi hanno veramente colpito; meditandoci sopra, credo che l’adozione di questi argomenti, di queste “parole chiave” e la loro immediata traduzione in operatività possa fattivamente costituire una sorta di denominatore comune sul quale fondare ed edificare un processo innovativo, tendendo ad un cambio di mentalità che costituisce l’elemento in grado di rimettere il nostro Paese sui giusti binari sociali.
Li riporto di seguito:
– Ci troviamo agli ultimi posti europei per utilizzo di banda larga. Persino la Romania ci supera, e di molto, con un rapporto di 70 contro 9 mega di velocità media disponibile.
– E soprattutto: è più facile che una famiglia italiana spenda 30 euro al mese per vedere il campionato di serie A piuttosto che accedere ad internet.
– La media europea della popolazione che utilizza i servizi pubblici digitali è pari al 46%. L’Italia registra invece una performance deludente riportando un valore di circa la metà.
– Ben l’83% dei finlandesi tra i 16 e 74 anni usa abitualmente internet a fronte di uno stentato 50% rilevato in Italia.
– Canada, altro caso di best practice mondiale: utilizza fortemente la rete e i servizi pubblici digitali per garantire la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica. Il punto forte del sistema canadese sembra essere la trasparenza e la cooperazione tra governo, cittadini e imprese all’insegna dell’edemocracy.
– Ecco cosa dice il primo ministro Taavi Rõivas (36 anni) in occasione di un recente meeting sul tema della digitalizzazione: «Quello che si dovrebbe fare è guardare con attenzione cosa fanno “i primi della classe” e … copiare! … non dobbiamo avere paura di copiare. Se qualcosa funziona da qualche parte, cerchiamo di imitare e migliorare la soluzione per poi riprenderla da noi. Non c’è bisogno di reinventare la ruota…». Il suo Paese, la piccola Estonia, è uno dei primi della classe, se non il primo in assoluto.
La cosa che più mi ha sconvolto, e credo costituisca la prima medicina di base per l’Italia, è la seguente: in Finlandia i ragazzi usano il pc non tanto per chattare ma per approfondire, studiare ed imparare grazie ad Internet.
Da ex studente del liceo classico prendo spunto da Platone: il “buon governo delle cose” deve essere direttamente correlato alla ricerca del sapere, inteso come insieme di informazioni e conoscenze che migliorano l’individuo e la collettività.
Da qui l’innovazione che, se utilizzata per fini comuni, non può che giovare alla collettività rinunciando a logiche private di profitto, così come ha fatto l’autore indicando alcuni tentativi di vie di uscita anche mediante l’economia digitale “neutrale”.
Ho molto apprezzato di conseguenza anche il metodo divulgativo con il quale il libro viene diffuso: la scelta di distribuirlo gratuitamente nel formato ebook rinunciando ad una entrata economica, testimonia la bontà della causa ad onore dell’Autore e dei suoi collaboratori.