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Cittadini Attivi. Il fantasma di Tom Joad

Parafrasando un celebre modo di dire, parlare di emergenze oggi in Italia è come cercare di svuotare il mare con un cucchiaino, tanti sono i problemi che, anno dopo anno, si vanno sommando nelle cronache del nostro fu Bel Paese e che nessuno, al momento, pare sia in grado di arginare e riportare in limiti fisiologici.

Essere “cittadini attivi”, come si propone di fare questa rubrica, fa sì che tu possa sentire dentro di te quel qualcosa che vibra e che chiede udienza alla parte pensante del tuo essere ed a quella che regola i tuoi sentimenti davanti ad evidenze innegabili che sconvolgono il tuo vivere quotidiano e ti interrogano di fronte alla possibilità di soluzioni.

C’è chi decide, allora, di esternalizzare la propria cittadinanza attiva intervenendo a convegni e forum per portare il suo punto di vista, chi preferisce rilasciare alla stampa i suoi pensieri con interviste o articoli, chi si mette in gioco attivamente sfidando burocrazia e poteri più o meno occulti e chi trasforma i suoi sentimenti più intimi in opere d’arte, per fissare nel tempo una sua visione del problema, coinvolgendo e stimolando uno o più sensi del proprio pubblico.

Di questi ultimi, in campo musicale, pochi sono gli artisti capaci di trasmettere con i testi delle loro canzoni tali sensazioni, immortali e così profondamente calate nel tessuto sociale e collettivo della loro epoca.

Tra questi sicuramente possiamo annoverare Bruce Springsteen che con Dylan e pochi altri – il nostro Fabrizio De André è tra questi … – mettono d’accordo la critica, musicale e letteraria, sull’influenza che le loro poesie in musica hanno avuto per identificare un sentimento comune di ribellione allo status quo delle odierne società industrializzate del nostro mondo cosiddetto “occidentale”.

Nel 1995 Bruce Springsteen scrisse una canzone (“The ghost of Tom Joad”) forse tra i più significativi della sua discografia.

Uomini a piedi lungo i binari
diretti non si sa dove; non c’è ritorno.
Elicotteri della Stradale che spuntano dalla collina,

minestra a scaldare sul fuoco sotto il ponte,
la fila per il ricovero che fa il giro dell’isolato:
benvenuti al “nuovo ordine mondiale”.
Famiglie che dormono in macchina nel Sudovest:
né casa né lavoro né sicurezza né pace.


La prima strofa ti prende come un pugno nello stomaco. E’ un dipinto che puoi immaginare se chiudi gli occhi, un cortometraggio che scorre in musica raccontando un’emergenza che noi europei viviamo da qualche anno, ma che la nazione americana affronta da decenni: quella dell’immigrazione senza argini alla società del benessere.
La strada è viva stasera
ma nessuno si illude su dove va a finire.
Sto qui seduto alla luce del falò
e cerco il fantasma di Tom Joad.

Tom Joad: in un blog (cfr. http://parloanchio.blogspot.it/) ho letto una bella definizione di questo personaggio nato dal genio di John Steinbeck nel proprio capolavoro “Furore”: “Il sogno infranto di chi parte verso la terra promessa, la raggiunge e se la fa scivolare tra le dita, perdendola. Tom è anche la speranza che non muore nonostante tutto”.
Tira fuori un libro dal sacco a pelo,
il predicatore accende un mozzicone e fa una tirata
aspettando il giorno che gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi.
In uno scatolone di cartone nel sottopassaggio
ho un biglietto di sola andata per la terra promessa.
Hai un buco in pancia e una pistola in mano,
dormi su un cuscino di sasso e ti lavi nell’acquedotto municipale.


L’immagine del predicatore, simbolo della saggezza e dell’astrazione dal mondo terreno di una certa mitologia americana, guarda scorrere gli eventi in una visione profetica dell’ultimo giorno. I suoi coetanei dormono nella precarietà e non hanno ritorno, vivono armati per difendersi e per offendere, in un triste palcoscenico dove va in scena la povertà più assoluta.
Diceva Tom: “Mamma, dovunque un poliziotto picchia una persona
dovunque un bambino nasce gridando per la fame
dovunque c’è una lotta contro il sangue e l’odio nell’aria
cercami e ci sarò.
Dovunque si combatte per uno spazio di dignità
per un lavoro decente, una mano d’aiuto
dovunque qualcuno lotta per essere libero
guardali negli occhi e vedrai me”.

 

E’ la strofa conclusiva, ma anche la vetta del capolavoro espressivo di Springsteen: l’autore fa dire a Tom Joad parole che tagliano l’aria di profondità e sfida, mischiando immagini di colpevolezza e innocenza: il poliziotto violento ed il bambino indifeso, il lavoratore sfruttato e l’attivista di istanze libertarie. Tom Joad, il fantasma di Tom Joad, che anèla un mondo migliore è lì, in ogni episodio, come un testimone silenzioso che non può far altro che assistere e testimoniare la sua cittadinanza attiva nella grande tragedia che fu la depressione americana degli anni 20 del secolo scorso e che va pian piano replicandosi in questo nostro XXI secolo.

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