Che il mondo dell’ICT sia in un momento di profondo cambiamento non sfugge a nessuno, né che la velocità di questo cambiamento sia, giorno per giorno, sempre più alta.
Vere e proprie ondate di innovazione si stanno abbattendo su ogni settore della vita produttiva e ovviamente, la Pubblica Amministrazione italiana non fa eccezione (diciamo non dovrebbe, visto il modo in cui a queste ondate si reagisce).
Oggi voglio concentrare l’attenzione su una particolare categoria di dipendente pubblico che, in gran parte inconsapevolmente, corre seri rischi di essere travolto dalle ondate di cui sopra: il “sistemista” della PA. Ho messo la parola “sistemista” tra virgolette per ricomprendere in generale tutti quelli che nelle Amministrazioni hanno a che fare con l’Informatica (analisti, programmatori, sistemisti veri e propri, addetti alla gestione dei CED, ecc.).
Parlavo di onde, eccone alcune, che vanno dalla mareggiata al vero e proprio tsunami:
- La visione emergente (ed era ora) del Digital First;
- Il Cloud Computing e i nuovi modelli di servizio che si porta dietro;
- La Sicurezza ICT (quella del 21° secolo, degli APT, del ransomware e degli hacker di Stato, non quella degli antivirus sui client);
- Le attese dei propri utenti in termini di servizio, abituati sempre meglio dalle nuove frontiere dell’informatica personale (funziona sempre, è grande a piacere, è gratis, è facile, è ovunque)
- La conseguente inadeguatezza dei modelli organizzativi delle Direzioni ICT nella PA;
- L’onda più grande di tutte: sono finiti i denari (AKA Spending Review – la spesa ICT è oggi poco efficace e ritenuta facilmente comprimibile).
E’ del tutto scontato che si tratti di fenomeni inarrestabili che porteranno con sé conseguenze pesanti in termini di organizzazione. Alcune di esse sono attese, fisiologiche ed in gran parte positive:
- Convergenza dei datacenter in pochi poli di aggregazione (mai troppo presto);
- Riduzione del parco software della PA (idem);
- Scomparsa delle direzioni/reparti ICT degli Enti più piccoli, non più in grado di svolgere efficacemente i propri compiti;
- Concentrazione degli acquisti ICT in poche centrali d’acquisto, con relativo miglioramento della qualità della spesa.
Ma a queste dinamiche si associano rischi non trascurabili:
- fallimento dei processi di introduzione del digitale;
- perdita di controllo sui propri dati e sulle proprie infrastrutture di core business;
- gestione errata del (poco) budget a disposizione
e, purtroppo, la marginalizzazione del personale ICT della Pubblica Amministrazione.
Vivendo la realtà di una Direzione ICT ben organizzata, ben diretta ed in generale orientata correttamente verso le sfide del digitale, è piuttosto facile rendersi conto che le competenze richieste al personale ICT sono radicalmente cambiate rispetto anche a soli sei anni fa.
L’hardware e la virtualizzazione visti come commodity, il Platform as a Service PaaS, la Software Defined Network, le architetture a microservizi, la Collaboration avanzata rendono indispensabile ridefinire il bagaglio culturale di chi fa l’informatico in PA.
E qui sorge il problema: alcune nicchie tecnologiche (che tanto nicchie non sono) richiedono skill tali da rendere impossibile per le singole PA una corretta formazione dei propri operatori.
E pur ammettendo di riuscire a gestire la formazione, le nuove sfide della sicurezza informatica portano con sé richieste di budget insostenibili se non a livello centralizzato; se si aggiunge la scarsità (assoluta, non limitata alle PA) di personale esperto in ICT Security ci si rende conto che fare sicurezza seria su base locale sia semplicemente impossibile. E se oggi non si fa sicurezza seriamente, è a rischio l’esistenza stessa dell’organizzazione.
Il destino delle direzioni ICT (e con esse dei relativi addetti) è dunque quello di scomparire? I sistemisti dovranno cominciare (o tornare) a fare gli amministrativi? Dobbiamo davvero buttare a mare quelli che fino ad oggi (non dimentichiamolo) hanno mandato avanti la baracca in mezzo a difficoltà organizzative e tecniche difficilmente comprensibili da chi non è mai entrato in un datacenter? Dobbiamo rinunciare ad alcune figure di eccellenza che popolano i CED della PA?
La mia opinione è che la via d’uscita sia un cambio di paradigma: l’ICT delle pubbliche amministrazioni (grandi e piccole) va totalmente ripensato, come organizzazione e processi nell’ottica ITSM (Information Technology Service Management), focalizzando l’attività sulla fornitura di “servizi” all’utenza finale e non più sulla gestione delle infrastrutture tecnologiche a supporto (in primis il CED stesso).
Non più sistemisti, tecnici di rete, analisti, sviluppatori, ma broker di servizi, focalizzati sul fornire valore all’utente finale, senza porsi vincoli relativi a soluzioni tecnologiche, posizionamento dei datacenter, soggetti gestori della tecnologie (viste come substrato intercambiabile e non come ragione d’essere del proprio ruolo). Chi fa ICT deve concentrarsi sui processi che portano dalla definizione dell’esigenza alla fruizione del servizio.
Sarebbe ingenuo aspettarsi che sia facile: non tutti e non tutte le organizzazioni saranno in grado di far parte del nuovo scenario. Conosco personalmente tante figure tecniche validissime che per la propria “conformazione” non riusciranno ad adeguarsi al nuovo ruolo, e anche alcune organizzazioni troppo destrutturate per cambiare (e quindi destinate a scomparire).
E’ un percorso lungo, che riguarda le Amministrazioni nella loro interezza e non solo l’ICT. Ha impatti pesanti sulle persone e dipende dalla capacità di ciascuno di adattarsi al nuovo modello. Il successo non è affatto scontato e occorrono committment e guide forti durante il cammino.
Ma è un’occasione irrinunciabile di crescita professionale per noi tutti e l’unico modo per svolgere sempre meglio il nostro ruolo di civil servant: fornire servizi al Cittadino.