Il decreto Mite per finanziare progetti finalizzati allo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde
Il ministero della Transizione ecologica da il via al grande progetto di una filiera nazionale dell’idrogeno verde. Seguendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), investimento 5.2(M2C2), il ministro Roberto Cingolani ha stanziato 450 milioni di euro per preparare quanto serve alla nascita di una industria italiana dell’idrogeno pulito.
Entro il 2026 l’industria nostrana deve essere in grado di produrre elettrolizzatori e componenti associate per una potenza complessiva annua di almeno 1GW.
Gli elettrolizzatori sono i macchinari che consentono di scomporre le molecole di acqua in ossigeno e idrogeno, utilizzando energia pulita da fonti rinnovabili.
Come annunciato dal ministero, il decreto assegna 250 milioni per gli Importanti progetti di comune interesse europeo (o IPCEI) per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori e 200 milioni ad ulteriori progetti che saranno selezionati attraverso avvisi pubblici di prossima pubblicazione, finalizzati alla realizzazione sia di ulteriori impianti per la produzione di elettrolizzatori, sia di impianti per la produzione di componenti a servizi degli elettrolizzatori stessi.
Leadership contesa nel mercato europeo e globale: Germania già lontana e Cina in vantaggio
Il comunicato poi termina con una frase molto ambiziosa, che porta con sé ottimismo e fiducia per il futuro prossimo, evidentemente facendo conto sulle capacità resilienti e innovative del sistema imprenditoriale italiano.
Attraverso questo investimento, il nostro Paese dovrebbe diventare “leader” del settore. Un obiettivo a dir poco difficile da raggiungere, considerando che siamo praticamente sprovvisti di quanto serve al momento e che quanto stanziato dal Mite equivale alla metà precisa delle risorse investite da Berlino in quest’ambito.
A livello globale il mercato degli elettrolizzatori è già molto competitivo ed è difficile immaginare l’Italia ricavarsi uno spazio tutto suo d’eccellenza.
Secondo un recente rapporto di BNEF, “1H 2022 Hydrogen Market Outlook”, gli elettrolizzatori alcalini cinesi costavano 300 dollari per kW nel 2021, rispetto ai 1.200 dollari/kW degli equivalenti occidentali.
Fino ad oggi i fornitori cinesi hanno venduto soprattutto in patria, ma la situazione sta cambiando e molti iniziano a tuffarsi nel mercato globale, con un impatto che non sarà indolore.
Al momento gli elettrolizzatori cinesi sono offerti sui mercati internazionali ad un prezzo del 50% più basso rispetto alla concorrenza occidentale, quindi anche europea.
Secondo Ma Jun, direttore generale di Cockerill Jingli Hydrogen (CJH), una joint venture tra il gruppo belga John Cockerill e Jingli, è molto probabile che entro il 2025, forse il 2024, gli elettrolizzatori cinesi sono offerti ad un terzo del prezzo di quelli europei e potrebbero scendere di un ulteriore 30% entro quella data.
Un livello di competizione difficile da sostenere per le nostre imprese, ma è anche vero che l’automazione industriale procedere rapida in Europa e questo consentirà di abbattere i prezzi di questi apparecchi e di superare i vantaggi dell’industria cinese che può contare sul bassissimo costo della sua manodopera locale.
La strategia europea
L’Unione europea investirà fino a 42 miliardi di euro per gli elettrolizzatori, mentre altri 65 miliardi di euro saranno impiegato per realizzare le infrastrutture critiche necessarie (reti di trasporto, stoccaggio e stazioni di rifornimento).
Complessivamente, da qui al 2050, la Commissione europea ha stimato investimenti tra 180 e 470 miliardi di euro per promuovere e rendere efficiente la produzione di idrogeno verde in tutti gli Stati dell’Unione.
Bruxelles punta a una capacità di produzione annuale di idrogeno rinnovabile di un milione di tonnellate entro il 2024 e di 10 milioni di tonnellate entro il 2030.
Ma serviranno anche molta acqua pulita, energia elettrica da fonti rinnovabili e anche un certo spazio per la costruzione di strutture e infrastrutture legate all’idrogeno verde (e questo già pone un grosso problema all’Italia, dove il territorio è sia densamente popolato, sia densamente cementificato, compresi gli impianti industriali in sé.
Per l’Europa e quindi l’Italia si apre da subito una seria e profonda riflessione sulla sicurezza degli approvvigionamenti di questo vettore energetico così centrale nella decarbonizzazione dell’industria e dei trasporti pesanti. Il caso Russia con il gas speriamo farà scuola.