L'intervista

Cingolani: “Cambiamo le bollette”. Il ministro insiste sulle rinnovabili e chiede tempi di installazione più rapidi

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In un’intervista su Radio Uno, il ministro della Transizione ecologica ha invitato ad accelerare sulle fonti rinnovabili, riducendo i tempi per le autorizzazioni e le installazioni. Nello stesso tempo ha annunciato che si sta lavorando alla riscrittura del metodo di calcolo delle bollette. Sul nucleare non cambia idea, ma tempi non maturi (e c'è un Paese che ha detto no).

Semplificare l’iter burocratico per le rinnovabili

Non si placa la polemica tra gli ambientalisti e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che non demorde sul nucleare, ammettendo comunque che al momento non si può fare nulla a riguardo, e allo stesso tempo chiede a gran voce di aumentare il numero di installazioni di impianti a fonti energetiche rinnovabili.

Secondo una nota Ansa, il ministro intervistato a “Radio anch’io” su Rai Radio 1 ha affermato: “La cosa più importante è accelerare sull’installazione di rinnovabili, così ci sganciamo più rapidamente possibile dal costo del gas“.

La questione del costo del gas non è di poco conto, perché è la voce principale dell’aumento in bolletta atteso per il prossimo autunno (dopo un primo aumento nel trimestre passato): “L’80% dell’aumento riguarda il gas – ha precisato il titolare del Mite – va mitigato il trimestre innanzitutto e a fine mese avremo i numeri, ma serve un intervento strutturale perché questi costi rimarranno“.

Qui Cingolani indica due strade da percorrere assieme, parallelamente: da una parte aumentare sempre di più la capacità delle fonti rinnovabili in Italia, dall’altra lavorare su una revisione strutturale della bolletta energetica così come l’abbiamo sempre conosciuta.

Per rendere più rapida la diffusione delle fonti rinnovabili, sempre secondo quanto riportato dall’Ansa, il ministro ha chiesto una semplificazione amministrativa relativa ai tempi necessari per le autorizzazioni: “Stimiamo che il Decreto Semplificazioni porti i giorni necessari per autorizzare un impianto per energia rinnovabile da 1200 giorni a circa un quinto complessivi”, cioè circa 240 giorni, circa 8 mesi.

Riscrivere il metodo di calcolo delle bollette

Per la bolletta, invece, il ministro ha spiegato che “c’è da mitigare l’aumento del trimestre, che c’è in tutto il mondo, e all’80% dipende dall’aumento del gas”. Per questo si parla di 3 miliardi di euro che lo Stato metterà sul tavolo.

Cingolani però vuole andare oltre le misure tampone del momento, perché “c’è da mettere in piedi un intervento più strutturale”, che duri nel tempo, quindi “bisogna ragionare su come è costruita una bolletta, va riscritto il metodo di calcolo e lo stiamo facendo in queste ore”.

Cingolani non cambia idea sul nucleare, ma l’Italia ha detto la sua

Tornando alla spinosa questione del nucleare, il tentativo del ministro di riaprire l’annosa diatriba tra favorevoli e contrari si infrange su tre barriere piuttosto robuste: c’è da rispettare la volontà popolare sancita da un referendum sul “No al nucleare” in Italia; la tecnologia a nostra disposizione è troppo vecchia (quindi costosa e poco sicura) e non ci sono più le competenze; il gap di ricerca e innovazione con altri Paesi europei è troppo grande.

Il ministro, però, non demorde: “Non ho cambiato idea. Io ho raccontato che oggi ci sono 4 paesi che stanno studiando sorgenti di energia alternative, i reattori di 4/a generazione. Ho detto che queste fonti non sono mature, che probabilmente nel prossimo decennio capiremo se sono convenienti e sicure. Qualora questo fosse verificato, sarebbe importante capire se possono essere usate”.

La posizione di Cingolani può risultare fastidiosa e anche anacronistica, soprattutto dopo i disastri di Chernobyl in Ucraina nel 1986 e di Fukushima in Giappone nel 2011, ma c’è anche da tener conto di quanto stanno facendo gli altri Paesi europei, che considerano addirittura il nucleare come fonte energetica rinnovabile.

L’Europa nucleare e le sue scorie

Prima del disastro di Fukushima (dati 2011), in Europa, il 28% dell’energia elettrica era fornita dalle centrali nucleari, che coprivano il 14% dei consumi complessivi. La Francia, la Germania, la Gran Bretagna, il Belgio, la Slovacchia, l’Ungheria e la Slovenia, la Svezia e la Finlandia, erano e restano i principali produttori di questa energia (in molti hanno promesso di dismettere gli impianti più vecchi, altri di uscire dal nucleare in maniera definitiva, altri ancora di non costruire più nuove centrali, ma ad oggi tutti questi Paesi hanno ancora centrali attive sul proprio territorio).

Ci sono in totale (dati del 2016) 185 impianti nucleari in funzione nel vecchio continente, per 163 MWe di capacità netta.

Secondo dati ENI dell’anno scorso, nel 2014 l’Italia ancora importava 22,3 TWh di energia dall’estero per soddisfare la domanda interna, di cui il 10% circa proveniva dalle centrali nucleari francesi.

Dati aggiornati ci ricordano, comunque, che il nucleare non è solamente una possibile fonte di energia che può migliorare il mix energetico europeo, ma soprattutto causa di scorie e rifiuti molto pericolosa per la nostra salute e l’ambiente.

Ad oggi, secondo un articolo de La Repubblica di inizio anno, l’Unione europea si trova a dover gestire 3,5 milioni di metri cubi di scorie e rifiuti radioattivi (con livelli di pericolosità nel complesso medio-bassi), che peraltro dovrebbero raddoppiare entro pochi anni.

Il prezzo dell’uranio sul mercato energetico

Scorie che oltre ad essere pericolose hanno anche un costo enorme di smaltimento e trattamenti, la Francia paga 7 miliardi di euro l’anno secondo quanto stimato da EDF, mentre anche il prezzo dell’uranio è troppo variabile e poco affidabile (quindi costoso), al pari di altre risorse energetiche (dopo essere sceso da 70 a meno di 20 dollari, dopo Fukushima, è risalito a 48 dollari per libbra nell’ultimo mese, anche a causa delle solite manovre speculative).

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