Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo un intervento del Presidente dell’Anac (Associazione Nazionale Autori Cinemografici) un contributo che prende spunto dall’articolo di Angelo Zaccone Teodosi su “Key4biz” del 27 aprile, e propone una serie di considerazioni critiche sulla nuova cinema legge ed audiovisivo cosiddetta Franceschini-Giacomelli.
Abbiamo letto con attenzione e apprezzato l’articolo intitolato “Cinema, in arrivo i 400 milioni della nuova Legge. Ripensamento sulle ‘windows’?” di Angelo Zaccone Teodosi, pubblicato il 27 aprile 2018 su “Key4biz”, e vorremmo approfittarne per lanciare una nostra riflessione sui due temi sollevati: la ripartizione delle risorse annuali destinate al cinema e all’audiovisivo e le cosiddette “windows”.
In prima battuta, ci permettiamo di fare una precisazione rispetto al citato coinvolgimento dell’Anac nell’elaborazione della legge Franceschini / Giacomelli. Più che “minore” e “tardivo”, il nostro coinvolgimento è stato “inesistente”.
L’equivoco sulla definizione nasce dall’ambiguità di una procedura che negli ultimi tempi sempre più spesso è invalsa nelle fasi di elaborazione delle riforme: si fa circolare una bozza tra le associazioni di categoria, si raccolgono osservazioni, eventuali proposte di emendamenti, si organizzano a volte audizioni informali, ma alla fine si lascia tutto com’era stato pensato e scritto originariamente. Il fine di queste pseudo-consultazione è proprio quello di poter dire: “abbiamo ascoltato tutti… abbiamo coinvolto tutti…”
Molte delle osservazioni che noi avevamo formulato riguardavano proprio i temi affrontati nell’articolo di Zaccone Teodosi, primo fra tutti quello relativo alla costituzione del Centro Nazionale del Cinema e dell’Audiovisivo, che a nostro avviso poteva agevolmente nascere dalla trasformazione della Direzione Generale Cinema del Mibact. Il che avrebbe dato agilità e sveltezza alla capacità di analizzare i processi di cambiamento in atto nel settore con la conseguente possibilità di elaborare immediati provvedimenti in grado di gestire gli stessi. Il caso della cronologia dei media (le “windows”) è proprio uno di quelli che si sarebbero potuti affrontare e risolvere nell’ambito di un’istituzione più rappresentativa delle istanze generali, maggiormente autonoma e priva dei tanti lacci e lacciuoli ministeriali.
Un altro aspetto che avevamo evidenziato era l’eccessivo sbilanciamento tra le risorse assegnate in modalità automatica e quelle in modalità selettiva, il che rappresenta la volontà di sostenere non in pari misura la parte industriale e quella artigianale del cinema italiano.
Dall’analisi del decreto ministeriale di “riparto 2018” del nuovo Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo citato da Zaccone Teodosi, si evince esattamente questo: l’8 % delle risorse annuali complessive (circa 32,1 milioni su 400), sono assegnate in forma selettiva, sulla base appunto di una valutazione del contenuto delle domande, il 70 %, circa 276,9 milioni, in modalità automatica (considerando il “tax credit” una forma di automatismo). Il restante 22 % è assegnato alle altre voci (38,1 costi fissi biennale, Csc, Istituto Luce + 12 insegnamento + 30 ristrutturazione sale + 10 digitalizzazione).
Lo sbilanciamento denunciato è la rappresentazione in termini numerici dello spirito della riforma che è stato più volte rivendicato da chi l’ha ispirata, vale a dire fare crescere le aziende italiane dell’audiovisivo per portarle ai primi posti della graduatoria europea, si assume infatti cha la prima delle società italiane è solo venticinquesima. Un indicatore significativo di tale visione lo troviamo già nei vecchi decreti attuativi sul credito d’imposta, dove il massimale del “tax credit” è di 20 milioni di euro per ogni singola impresa (10 per il cinema e 10 per l’audiovisivo).
Chiariamo subito che non siamo affatto contrari al principio per cui le imprese italiane debbano crescere, ma ciò deve avvenire in un quadro equilibrato di utilizzo delle risorse pubbliche, nel quale si consenta tanto la crescita delle medie imprese, quanto quella delle piccole e micro.
Anche lo strumento del “tax credit “può essere considerato utile e opportuno, e, come abbiamo più volte ripetuto, noi riteniamo che il relativo capitolo di spesa sia sottratto al Ministero delle Attività Culturali e assunto dal Ministero dello Sviluppo Economico o ancora meglio riferendosi ad uno sgravio fiscali, direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, come avviene in Francia.
Lo storno del “tax credit” dal Fondo di sostegno consentirebbe al Mibact di liberare 226,9 milioni e potrebbe riportare i contributi selettivi a valori più adeguati.
Anche la “straordinarietà” del cosiddetto “piano per il potenziamento delle sale” è stata da noi criticata e a pensarci bene in qualche modo essa rientra nella questione delle “windows”. Perché il piano è stato considerato straordinario, limitandolo a soli 5 anni con l’assegnazione di risorse decrescenti? Invece di ribadire con un sostegno strutturale, come quello alla produzione, il ruolo della sala e dell’esercizio, perché si è lasciato intendere che 5 anni dopo l’entrata in vigore della legge le risorse saranno stornate su altre voci del Fondo? È già stata decretata l’estinzione della sala per il 2021, anno in cui è prevista la fine del piano straordinario?
Tra le diverse osservazioni rimaste inascoltate, c’era anche quella relativa agli esperti competenti sull’assegnazione dei contributi selettivi. Sul tema, l’Anac ha sempre sostenuto che gli esperti dovessero essere di un numero superiore a cinque, essere remunerati e avere un mandato di 12 mesi al massimo. La difficoltà di trovare dei professionisti totalmente votati alla causa e pronti a sobbarcarsi un lavoro sproporzionato e complesso, ha determinato un notevole allungamento dei tempi per le nomine. Un ritardo che sta avendo gravi conseguenza sulle assegnazioni dei fondi e sulle produzioni che avrebbero dovuto partire nel 2017. Noi riteniamo che i contributi selettivi abbiano un’importanza strategica: attraverso tali incentivi infatti lo Stato svolge una funzione primaria, cioè quella di promuovere la creatività slegata dalle logiche commerciali, incoraggiando i nuovi talenti nell’intera filiera della produzione audiovisiva.
Tralasciamo volutamente di commentare il dispositivo che, ai fini del raggiungimento dei limiti di intensità di aiuto previsti dalla normativa europea, definisce come “film difficile” il film che sia distribuito nelle sale cinematografiche, in contemporanea, in un numero di schermi inferiore a quattrocento. Tale norma prevista nel “Bando per la concessione di contributi selettivi” all’art. 1. n.3 lettera n) iii ha il sapore della farsa, in quanto accorda la qualifica di “difficile” alla quasi totalità dei film prodotti in Italia.
Sulla cronologia dei media, infine, ha ragione Zaccone Teodosi nel porla tra le questioni fondamentali che la legge ha lasciato irrisolte, sottendendo a una mancanza di volontà generale di affrontarla.
A gennaio, a seguito della pubblicazione dei risultati della frequentazione del pubblico nelle sale italiane, con particolare riferimento alla inquietante riduzione del 46 % della quota della nostra produzione, scrivemmo un appello rivolto alle associazioni dei produttori, degli esercenti e a quelle dei nostri colleghi, categorie maggiormente coinvolte negli esiti negativi del “box office”, per condividere un’analisi e avviare un confronto franco sulle eventuali azioni da intraprendere insieme per evitare che a gennaio 2019 ci si ritrovi a commentare altri risultati negativi.
Gli unici a risponderci sono stati gli esercenti dell’Anec Lazio, con i quali intendiamo organizzare a breve un incontro, a partire dalla decisione del direttore del Festival di Cannes Thierry Fremaux di escludere dal suo programma i film prodotti da Netlifix, in quanto non sono destinati alla sala cinematografica. Una scelta che può suscitare polemiche, ma sbarra la strada alle ambiguità e ribadisce, piaccia o non piaccia, l’essenza e la priorità della Settima Arte della visione sul grande schermo. Nessun altro si è fatto vivo.
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