Si stringono i rapporti tra Cina e Hollywood. Dopo l’accordo annunciato nelle scorse settimane tra il magnate cinese Wang Jianli con lo studio Sony Pictures, arriva la notizia di un’altra alleanza che farà molto discutere, quella tra il miliardario cinese Jack Ma, patron di Alibaba, e il regista americano Steven Spielberg, insieme per co-produrre film destinati alla Cina, il secondo mercato più grande al mondo dopo gli Stati Uniti.
Più precisamente il gigante cinese dell’eCommerce Alibaba rileverà una quota di minoranza in Amblin Partners, la società fondata e guidata da Steven Spielberg, che include gli studios DreamWorks.
L’alleanza, i cui termini finanziari non sono stati resi noti, prevede altresì che Alibaba disponga di un posto nel Cda di Amblin. I due gruppi intendono lavorare insieme nella produzione, promozione e distribuzione di film destinati al “pubblico cinese e internazionale”.
“Vogliamo portare più Cina in America e più America in Cina“, ha dichiarato il regista americano, che ha girato a Shanghai il suo film “L’impero del sole” nel 1980.
Questa alleanza è la prima del genere per Alibaba e Amblin, ma le partnership tra gli studios di Hollywood e gli investitori cinesi si stanno moltiplicando da mesi ormai.
Il mese scorso Wanda di Wang Jianli ha siglato l’alleanza strategica con gli studios Sony Pictures e pare che sia in “trattative esclusive” con il produttore dei Golden Globe, Dick Clark Productions.
Già da tempo Jianlin aveva mire su Hollywood.
Dopo aver acquistato, nel 2012, la seconda più grande catena americana di cinema – AMC Theaters – per 2,6 miliardi di dollari, a inizio d’anno ha messo le mani sullo studio Legendary (Jurassic Park, Godzilla…) per 3,5 miliardi e anche sul gruppo cinematografico con sede a Londra Odeon & UCI per 1,2 miliardi.
Ma anche altri gruppi cinesi come Fosun, Huayi Brothers o China Media Capital (CMC) si stanno avvicinando agli studios americani.
Questa offensiva su Hollywood preoccupa alcuni parlamentari americani.
Dopo l’operazione di Wanda, 16 deputati hanno denunciato il rischio “di un’estensione del controllo della propaganda (cinese) ai media americani”, considerata la stretta relazione tra Wang Jianlin e il regime comunista.
Per Les Echos, se questa offensiva nel cinema è un esempio di ‘soft power’ cinese, gli studios americani vi vedono una nuova fonte di capitale e un mezzo per aprirsi le porte dei box-office cinesi dove la distribuzione è rigidamente regolamentata e non autorizza che 34 film stranieri all’anno.
Anche se i box-office cinesi stanno attraversando un periodo di crisi (le vendite dei biglietti hanno perso il 16% nel terzo trimestre), restano molto redditizi e gli accordi di co-produzione potrebbero essere un mezzo per aggirare le drastiche restrizioni imposte da Pechino.
Con un numero di sale che è aumentato di dieci volte in dieci anni, il mercato cinese del cinema potrebbe superare quello USA nei prossimi anni.