Key4biz

Audiovisivo, il settore chiede l’incremento del ‘Tax credit’. Ma quali sono gli effetti reali degli incentivi?

Il modesto (o immodesto che sia) cronista che segue per l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult e quindi per il quotidiano online “Key4biz” le iniziative che affollano la “piazza romana” a livello di incontri e convegni sul sistema culturale nazionale… dopo oltre trent’anni di esperienza sul campo, ha la presunzione di poter percepire, dopo un’oretta di osservazione, “il senso” di queste iniziative, al di là delle apparenze e delle coreografie…

Rare – anzi inesistenti – sono state negli ultimi mesi le iniziative che abbiano stimolato un dibattito profondo, aperto, dialettico sulle tematiche della cultura, dello spettacolo, delle arti. A parte gli incontri promossi dalla “destra culturale”, ai quali abbiamo dedicato adeguata attenzione su queste colonne, e che pure hanno affrontato più tematiche politiche “alte” che la “bassa cucina” dei meccanismi di funzionamento strutturale del sistema culturale (si veda, per tutti, il nostro intervento su “Key4biz” del 7 aprile 2023, “‘Essere eretici’: il convegno della destra sulla cultura in Italia. All’assalto soft alle casematte del potere sinistrorso?”). Eppure la struttura di un sistema culturale la si cambia agendo anche proprio al livello delle “basse cucine”.

E che dire, ancora, del totale perdurante “deserto di idee” – e di totale assenza di dibattito pubblico – sulla Rai e sulla sua funzione di servizio pubblico radiotelevisivo e mediale?!

Abbiamo quindi dedicato un po’ del nostro tempo e della nostra attenzione a due recenti iniziative, che hanno consentito di comprendere come – ancora una volta – si organizzino incontri che non affrontano di petto le criticità del sistema culturale italiano (che pure ci sono, anche se quasi nessuno ne parla e ne scrive) e che finiscono per divenire passerelle che alimentano soltanto il narcisismo dei promotori e degli intervenienti.

Le due iniziative tra le quali crediamo si possa intravvedere una sorta di “fil rouge” (portare acqua alla riproduzione dell’esistente, finanche involontariamente) sono stati una settimana fa, giovedì 11 maggio, il convegno promosso da Gabriella Carlucci e tenutosi presso la Luiss, intitolato “Quale futuro per lo spettacolo dal vivo e il cinema?”, ed il convegno tenutosi ieri, mercoledì 18 maggio, intitolato “L’impresa culturale e creativa a Roma: quale futuro?”, promosso da Valerio Toniolo per la presentazione del suo libro (“L’impresa culturale e creativa. Legislazione e management pre e post Covid”, per i tipi delle Edizioni del Girasole), presso il Tempio di Adriano della Camera di Commercio di Roma.

Entrambi sono stati caratterizzati da un’audience di più di un centinaio di persone e da interventi istituzionalmente senza dubbio qualificati: il primo finanche con un intervento del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (“in quota” Fratelli d’Italia) ed il secondo con un intervento conclusivo del Presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone (Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia).

Cosa è emerso, da entrambe le iniziative?!

Sostanzialmente, il convincimento che il “tax credit” sia uno strumento eccellente per stimolare il connubio tra “pubblico” e “privato” nel sistema culturale.

Questa è la sintesi estrema delle tesi di fondo di entrambe le iniziative.

In occasione del primo convegno, si è teorizzato una estensione ulteriore dell’uso del “tax credit” nel settore cinematografico e audiovisivo; nel secondo convegno, si è teorizzato una apertura del “tax credit” anche al settore teatrale.

Queste tesi sono basate su analisi tecniche accurate delle effettive ricadute dello strumento “tax credit”?! No. La risposta è assolutamente netta: no.

Non è stata finora realizzata in Italia una accurata ed approfondita “valutazione di impatto” di questo strumento che – di fatto – trasferisce dallo “Stato” al “mercato” l’allocazione delle risorse pubbliche a favore della cultura.

Eppure la gran parte degli operatori è entusiasta del “tax credit”. Soprattutto gli imprenditori, ovvero i diretti beneficiari di questo intervento pubblico.

Alle origini del “tax credit”: il libro “Il mercante e l’artista” nel 2008, promosso da Gabriella Carlucci e Willer Bordon

Una premessa: chi cura questa rubrica IsICult per “Key4biz” è stato, da sempre (da quando ha iniziato ad interessarsi di questi problemi, fin dal lontano 1986 quando fu chiamato a dirigere l’Ufficio Studi dell’Anica) un convinto assertore della necessità di scardinare alcuni meccanismi malati del sistema pubblico di sostegno alla cultura. Può vantare di essere stato il primo analista critico del Fondo Unico dello Spettacolo (il Fus), un sistema storicamente chiuso e conservativo, che ha garantito per decenni (dal 1985, anno della sua istituzioni) rendite di posizione a coloro che avevano il privilegio di essere riusciti a superare le barriere all’entrata.

Per questa ragione, ormai quindici anni fa, chi scrive accolse con entusiasmo – assieme ai colleghi Bruno Zambardino (docente universitario e da qualche anno Responsabile Affari Ue e Coordinamento istituzionale “Italy for Movies” di Cinecittà / Dgca Mic) ed Alberto Pasquale (docente universitario e già Direttore Generale della 20th Fox Italia) – l’invito a realizzare il primo studio italiano sulle potenzialità degli strumenti di sostegno pubblico indiretto alla cultura: dalla sovvenzione (il contributo diretto a fondo perduto) al “tax shelter” e quindi al “tax credit”.

Su stimolo di Gabriella Carlucci (allora parlamentare di Forza Italia nonché Responsabile Cultura del partito) e del compianto Willer Bordon (parlamentare dalla XIV alla XVI legislatura, Sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali con Romano Prodi, Ministro dei Lavori Pubblici con Massimo D’Alema e dell’Ambiente con Giuliano Amato), si lavorò con passione ad uno studio che venne pubblicato nel 2008 nel volume “Il mercante e l’artista. Per un nuovo sostegno pubblico al cinema: la via italiana al ‘tax shelter’”, per i tipi di Spirali. Nel frontespizio del libro, si legge “Le innovative misure fiscali a sostegno dell’industria cinematografica e audiovisiva. Per uno Stato stimolatore di cultura, non assistenzialista: la riforma bipartisan Carlucci-Bordon”.

Alfieri dell’introduzione in Italia del “tax shelter” e del “tax credit” erano stati l’ex Ministro Francesco Rutelli (centro-sinistra) ed il suo successore Sandro Bondi (centro-destra), ma va segnalato che è stato Dario Franceschini (e quindi la “sinistra culturale” – si noti bene – e non la “destra culturale”) a cavalcare in modo deciso ed impetuoso quest’onda liberista di apertura del “pubblico” al “privato”.

Sta prevalendo un approccio liberista: lo Stato abdica alla propria funzione di indirizzo nelle politiche culturali

Si tratta – senza dubbio – di un approccio molto liberista (o neo-liberista che dir si voglia), perché privilegiare questa strumentazione degli incentivi fiscali significa correre il rischio di abdicare alla funzione di indirizzo che lo Stato può (deve, secondo chi scrive) esercitare, rispetto alla allocazione delle risorse pubbliche nel sistema culturale.

In sostanza, chi quindici anni fa invocava la apertura di un sistema chiuso eccessivamente statalista, assistenzialista ed autocentrato si è trovato poi travolto da un’ondata così liberista da aver scardinato i convincimenti ideologici e tecnici di allora: in effetti, un livello è la opportunità di una iniezione liberista, altro è lo spostamento radicale del ruolo centrale della “mano pubblica” a favore del “libero” mercato.

Attualmente, la gran parte del sostegno pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo passa attraverso il “tax credit”, con il quale lo Stato asseconda – di fatto – le dinamiche del mercato.

Asseconda peraltro le “dinamiche di mercato” soltanto in apparenza, perché qual è stato finora il risultato, nel settore cinematografico e audiovisivo?! Una inflazione produttiva che si scontra con un mercato che non la accoglie.

Nel 2021, l’Italia ha prodotto 313 film: chi li ha visti?!

Non si deve essere economisti della cultura per comprendere le distorsioni dell’attuale assetto: secondo il dossier “Tutti i numeri del cinema italiano” relativo all’anno 2021, pubblicato dalla Direzione Generale Cinema e Audiovisivo (Dgca) il 21 aprile scorso, nel 2021 i film prodotti in Italia sono stati ben 313 (di cui 210 sono classificati come “100 % italiani”).

Quanti di questi 313 titoli hanno visto la luce (il buio) di una sala cinematografica?! Poco più di un terzo.

E gli altri, che fine hanno fatto?! Non è dato sapere.

Molti di questi titoli non vengono nemmeno acquistati dalle emittenti televisive (né gratuite né a pagamento) dalle piattaforme web: e ciò basti.

La quantità di italiani che frequenta le sale cinematografiche è più bassa rispetto a Paesi come la Francia…

La quota di mercato del cinema “made in Italy” nel segmento “theatrical” continua ad essere bassa…

Gli indicatori delle patologie in essere ci sono, ma quasi nessuno sembra volervi prestare attenzione ed approfondire scientificamente la questione.

Tante volte, anche su queste colonne, abbiamo segnalato il complessivo deficit di conoscenze sul reale funzionamento del sistema cinematografico e audiovisivo italiano (e vale per tutti gli altri settori del sistema culturale).

Perdurante assenza di un sistema informativo evoluto, ma intanto l’asse dell’intervento pubblico passa dallo Stato al mercato: su 741 milioni a favore di cinema e audiovisivo, 541 milioni agli incentivi fiscali

Ci piace ricordare come concludevamo il capitolo da noi curato nel succitato libro del 2008 (ovvero “Il mercante e l’artista”): “ma ricordiamoci che lo Stato, per un “buon governo”, ha necessità di un sistema informativo evoluto, adeguato alle dimensioni e alla complessità dell’intervento della “mano pubblica”. Ancora una volta, invocando forse la più importante delle lezioni di Einaudi (una delle sue prediche tutt’altro che inutili): “Conoscere per deliberare”.

A distanza di 15 anni da allora, cosa è accaduto?!

Che lo Stato ha spostato dall’intervento diretto (sovvenzioni e contributi) all’intervento indiretto (tax credit) l’asse dell’azione della “mano pubblica”.

Le cose vanno meglio di 15 anni fa?! Nutriamo dubbi.

Certamente l’iniezione di risorse pubbliche è stata imponente, grazie alla volontà soprattutto dell’ex Ministro Dario Franceschini: basti osservare che – secondo dati ministeriali resi noti il 21 aprile scorso – nel 2023 le risorse del Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e Audiovisivo ammontano a ben 746 milioni di euro.

Lo stesso Mic (Dgca) segnala che, di questi 746 milioni di euro, ben 541 milioni sono destinati agli incentivi fiscali. Si tratta di ben il 73 % delle risorse pubbliche a favore del settore.

Qualcuno si sta ponendo il quesito – al Collegio Romano piuttosto che a Santa Croce (sedi istituzionali rispettivamente del Ministero e della Direzione Cinema e Audiovisivo) – se tutto questo flusso imponente di risorse pubbliche stia realmente contribuendo allo sviluppo di un sistema audiovisivo robusto e plurale e innovativo?!

Temiamo di no.

Eppure c’è chi invoca l’estensione dello strumento degli incentivi fiscali anche al teatro.

Sulla base di quale logica e di quali dati, che possano confortare questa strategia di politica culturale?!

Non se ne è parlato né nel convegno promosso da Gabriella Carlucci (ormai nella veste di organizzatrice culturale e di produttrice cine-televisiva) né nel convegno intorno al libro di Valerio Toniolo (organizzatore culturale e consulente di enti pubblici e privati).

“Tutto va bene”, anche nel sistema culturale romano?! Anche qui, coro di diffuso entusiasmo, ma è emersa almeno una… nota stonata. La Fondazione Musica per Roma deve poter offrire Maurizio Battista nel suo cartellone?!

Anche in questa seconda occasione, relatori di livello, tra i quali Francesco Giambrone (Presidente dell’Agis) e Michele Dell’Ongaro (Presidente e Sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia), Giovanna Marinelli (Commissario del Teatro di Roma) e Miguel Gotor (Assessore alla Cultura di Roma Capitale)…

Anche in questa seconda occasione, totale assenza di dataset e di analisi tecnico-scientifiche. Ognuno dei relatori ha elogiato il proprio operato, inclusa l’ultima arrivata, ovvero Simona Renata Baldassarre, Assessore alla Cultura (nonché con delega anche alle Pari Opportunità, Politiche Giovanili e della Famiglia, Servizio Civile). In platea, il suo intervento – un po’ da neofita, nella sostanza e nei toni – ha registrato anche l’applauso (forse di cortesia) dell’ex Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (che – si ricordi – negli ultimi anni aveva avocato la delega per la cultura).

L’offerta culturale e la domanda culturale romana si incontrano al meglio?!

Non ci sembra, ma – anche in questo caso – a nessuno sembra interessare lo studio della realtà.

In occasione del convegno sostenuto dalla Camera di Commercio di Roma, una sola nota “stonata” – nel coro di entusiasmo diffuso sul corso attuale del sistema culturale romano – che merita essere riportata, perché assai sintomatica di quel che cova sotto le apparenze: un cattivo governo della “res publica” in materia di cultura. A livello nazionale, così come a livello metropolitano romano (stessa critica si può muovere nei confronti della Regione Lazio).

Massimo Arcangeli, Segretario Generale dell’Atip-Anec del Lazio (imprenditori del teatro e del cinema) ha accusato la Fondazione Musica per Roma di alterare le condizioni di mercato, se una struttura pubblica ben sovvenzionata dallo Stato (Ministero, Regione, Comune) finisce per offrire un cartellone di artisti che non sono esattamente corrispondenti ad attività di ricerca e sperimentazione, come – ed è soltanto un esempio – il comico Maurizio Battista. Immediata la replica di Daniele Pitteri, Amministratore Delegato di MpR, ovvero che questo tipo di cartellone è indispensabile per garantire all’istituzione pubblica redditività tale da poter stimolare anche l’offerta di opere che avrebbero difficoltà a trovare spazi di mercato. In parte è vero, ma quanto realmente vero?!

È stato mai ben analizzato il rapporto tra “offerta” e “domanda” nel sistema culturale italiano, rispetto all’intervento dello Stato?! No. Si rinnova il governo nasometrico dell’esistente

Qualcuno si è mai posto la briga di analizzare il rapporto tra “offerta” e “domanda” nel sistema culturale italiano, rispetto all’intervento dello Stato? No.

Si continua a “governare” il sistema nasometricamente, ed in effetti, nel passaggio dal “centro-sinistra” al “centro-destra”, non si registra (non ancora?!) un cambiamento di metodo.

Ah, certo, il Presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone ha annunciato ieri (ovvero ha ribadito) che è in atto una “rivoluzione dolce” e che presto “cambieranno le commissioni” (tra cinema e audiovisivo e spettacolo dal vivo): ma cambieranno le regole, cambieranno i decreti, cambieranno – soprattutto – i criteri?!

O ci si ri-affiderà sempre di più al mercato, con tutte le distorsioni che una simile politica culturale determina, limitandosi poi a nominare nelle commissioni ministeriali persone di simpatia destrorsa?!

Riteniamo che la mano pubblica nella cultura debba concentrare il proprio intervento nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi linguaggi, nell’innovazione espressiva, nell’estensione del pluralismo… non nella ri-produzione dell’esistente.

Un “esistente”, che, semmai gli venisse tolta improvvisamente l’ossigenazione artificiale di un sostegno pubblico male impostato, dimostrerebbe la propria miseria (tante piccole e grandi rendite di posizione, tanti parassitismi grandi e piccoli…).

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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