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‘Chiusure domenicali, legge inattuabile. Anche online’. Intervista a Davide Rossi (Aires)

Intervista a Davide Rossi, avvocato, presidente Optime e Direttore Generale e Consigliere AIRES Confcommercio, l’Associazione Italiana dei Rivenditori di Elettronica e di Elettrodomestici Specializzati. Senza entrare nel merito sulla opportunità del provvedimento, ha predisposto un parere sugli aspetti giuridici del testo unificato, presentato in Commissione Attività Produttive della Camera, che prevede una nuova regolamentazione agli orari di apertura degli esercizi commerciali, con effetti anche per l’eCommerce.

Key4biz. Perché ha deciso di prendere carta e penna per scrivere un commento alla proposta di legge?

Davide RossiOgnuno, dai talk show ai giornali, dalle associazioni ai social, discutono di una proposta di legge inattuabile dal punto di vista tecnico-giuridico. Voglio precisare che la responsabilità non è del relatore, On. Andrea Dara, che alcuni mesi fa è stato estremamente cordiale e disponibile a incontrarmi e ad ascoltare alcune riflessioni che gli ho sottoposto – a nome della Aires – in relazione alle specificità del settore dell’elettronica.

A Dara è stata assegnata la “mission impossible” di trovare una sintesi tra due proposte di legge “di bandiera” presentate a inizio legislatura da due parlamentari (l’on. De Toma del MoVimento 5 Stelle e l’On. Saltamartini della Lega) che non pensavano di andare poi al Governo, né soprattutto di andarci insieme. Se ci fosse stato un Governo Lega-Forza Italia la proposta sarebbe stata sicuramente abbandonata e lo stesso in presenza di un Governo Cinquestelle-PD.

Già viste da sole le due proposte sarebbero state piuttosto pasticciate, fuse insieme sono assolutamente inattuabili per varie ragioni.

Key4biz. Quali?

Davide RossiSpero di non essere noioso ma qui dobbiamo entrare un po’ nel tecnico, provo a sintetizzare.

Ci sono problemi sotto tre diversi profili.

  1. Incoerenza con il dettato costituzionale;
  2. Aspetti critici legati alla disciplina generale del commercio;
  3. Elementi di contrarietà alle norme in materia di concorrenza.

Key4biz. Ci spieghi meglio…

Davide RossiLa proposta intende riportare indietro di 13 anni le lancette e ripristinare una condizione sulla quale si è intervenuti a più riprese da parte di maggioranze di Governo di diverso orientamento politico rappresentative nel complesso di tutto l’arco costituzionale. Basti pensare che il Governo Prodi, nel quale Bersani era ministro dello sviluppo economico, godeva dell’appoggio di Rifondazione Comunista e il Governo Monti era in pratica un esecutivo di unità nazionale appoggiato dai principali partiti delle due coalizioni di centro-sinistra e di centro-destra. Queste, si badi bene, sono considerazioni non banali anche quando si intenda svolgere valutazioni – che restano comunque tecniche e non politiche – sulla legittimità costituzionale dell’intervento.

Key4biz. La proposta di legge sarebbe contraria a quali articoli della Costituzione italiana?

Davide Rossi. Oltre all’articolo 41, quello sulla libertà di iniziativa economica che va tenuto in conto ma non è dirimente, di assoluto rilievo è l’art. 47 che tutela il risparmio (e ovviamente gli investimenti).

Un primo tema è quindi della stabilità delle condizioni generali che consentono di pianificare investimenti ed attività produttive nel tempo. Poiché la costruzione di un centro commerciale presuppone investimenti ingentissimi da parte non solo di chi materialmente lo edifichi ma anche dei moltissimi operatori economici che hanno deciso di affittare (o anche acquistare) e ovviamente arredare, strutturare e lanciare i propri punti vendita, è di tutta evidenza che sia stato necessario fare ricorso al risparmio che è appunto un bene che la Costituzione si premura giustamente di tutelare.

Key4biz. Se la norma dovesse diventare legge perché sarebbe un’amara sorpresa per chi ha già deciso di costruire un centro commerciale?

Davide Rossi. Indipendentemente dalle stime presentate dalle parti coinvolte – e anche voler del tutto a prescindere da esse! – appare di tutta evidenza che poter disporre di un qualsiasi impianto produttivo o distributivo per un numero di giornate annue inferiore rispetto a quelle originariamente pianificate al momento della stesura del piano industriale comporti una compressione delle prospettive di rientro degli investimenti e quindi in una mancata tutela del risparmio. Si ricordi infatti che già da tredici anni vige la liberalizzazione delle giornate di apertura ed è di tutta evidenza che il Mercato abbia dato per assodata la facoltà per le imprese della distribuzione di essere operative sette giorni su sette. È inoltre dato assolutamente incontrovertibile il fatto che molti centri commerciali ospitino non solo grandi imprese (la cui quotazione in Borsa ha certamente consentito l’investimento anche di singoli risparmiatori) ma anche piccole attività commerciali e artigianali che hanno scelto di investire in queste realtà contando proprio sulla capacità dei grandi centri commerciali di attrarre clientela per rilanciare la propria attività. Risulta poi che molti piccoli commercianti abbiano scelto di aprire i propri punti vendita all’interno di strutture dotate di personale e sistemi di sicurezza per mettersi al riparo da furti e richieste estorsive, ancora una volta cercando di tutelare valori quali la proprietà e anche la sicurezza personale che proprio la Costituzione pone come essenziali e intende garantire.

Key4biz. Quali gli altri aspetti critici della proposta di legge?

Davide Rossi. Ci sono aspetti critici legati alla disciplina generale del commercio. La proposta intende ritornate alla situazione disegnata dal Decreto Legislativo 118 del 1998. Questo decreto indica inoltre alcune tipologie di punto vendita escluse dagli obblighi di chiusura:

  1. Gli esercizi già definiti “di vicinato” (aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti);
  1. Le rivendite di generi di monopolio;
  1. Gli esercizi di vendita interni ai campeggi, ai villaggi e ai complessi turistici e alberghieri;
  1. Gli esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade, nelle stazioni ferroviarie, marittime ed aeroportuali;
  1. Le rivendite di giornali;
  1. Le gelaterie e gastronomie;
  1. Le rosticcerie e le pasticcerie;
  1. Gli esercizi specializzati nella vendita di bevande, fiori, piante e articoli da giardinaggio, mobili, libri, dischi, nastri magnetici, musicassette, videocassette, opere d’arte, oggetti d’antiquariato, stampe, cartoline, articoli da ricordo e artigianato locale;
  1. Le stazioni di servizio autostradali, qualora le attività di vendita previste dal presente comma siano svolte in maniera esclusiva e prevalente;
  1. Le sale cinematografiche;

Qui si evidenzia la totale illogicità e incongruenza (e quindi contrarietà ai princìpi fondamentali che presidiano i processi di formazione delle Leggi) di questa elencazione. Ciò non solo per oggettive ragioni della evoluzione dei prodotti e dei mercati ma anche perché la successiva normativa volta alla liberalizzazione (il Decreto Bersani del 2006) ha consentito alle imprese della distribuzione di porre in vendita ogni genere di prodotto rendendo sostanzialmente prive di significato le precedenti categorizzazioni. Dal 1998, infatti, sono abrogate le 14 tradizionali tabelle merceologiche e l’unica indicazione necessaria per qualificare un punto vendita è quella di negozio alimentare e non alimentare. A questo punto non è chiaro quali tipologie di negozi potrebbero restare aperti e quali dovrebbero chiudere.

Key4bizE poi?

Davide Rossi. Ci sono infine, e forse è l’aspetto più importante, elementi di contrarietà alle norme in materia di concorrenza. Se è vero, infatti, che la materia è assegnata alla potestà legislativa del Parlamento il quale ha certamente titolo per interventi correttivi e fin anche dirigistici, è assolutamente fuori di dubbio che non possano essere emanate norme che finiscano per avere effetti restrittivi, o peggio distorsivi della competizione ad armi pari tra imprese. Vi è anzitutto il caso di negozi che pur essendo tra le categorie autorizzate alle aperture (e quindi ritenute per varie ragioni meritevoli di un trattamento particolare) non potrebbero avvalersi di questa opportunità in quanto inseriti in contesti più vasti. Non si pensi solo ai centri commerciali ma anche a gallerie, outlet e aree di intrattenimento che essendo chiusi per la maggioranza degli esercizi risulterebbero non interessanti per il pubblico ed eccessivamente costosi dal punto di vista della illuminazione, della sicurezza e di tutti i servizi accessori.

È di tutta evidenza che tali operatori subirebbero un danno notevole a causa di un effetto collaterale della norma, pur in presenza della volontà del Legislatore di garantire ad essi una condizione più favorevole. Si pensi ad esempio ai cinema che non potrebbero da soli rimanere aperti sopportando tutti i costi di gestione giornaliera di un grande complesso, e che comunque subirebbero un decremento degli spettatori causato dalla minore attrattività di determinati contesti, o anche alle librerie presenti in molti centri commerciali. Sotto una diversa prospettiva si pone il problema inverso: i negozi autorizzati ad aprire che ovviamente sono stati autorizzati dalla normativa a non limitare i beni in vendita alle proprie categorie merceologiche prevalenti. Esemplare, ma non unico, il caso dei negozi di mobili (anch’essi autorizzati dal Lodo Dara alle aperture domenicali) che sempre più spesso vendono anche elettrodomestici, televisori, biancheria per la casa, tendaggi e giocattoli. Appare evidente l’ingiustificato vantaggio garantito a questa tipologia di imprese a scapito dei concorrenti di esse che, essendo dedicati principalmente ad altri prodotti, devono soggiacere agli obblighi di chiusura.

Key4biz. Quali i possibili paradossi tra tra vendite in negozio fisico e vendite online?

Davide Rossi. Infine, sempre dal punto di vista della compressione e distorsione della concorrenza che potrebbe avere luogo qualora il Lodo Dara concludesse il proprio iter legislativo, il problema di macroscopico ed assolutamente insuperabile appare essere quello della diversa regolamentazione tra vendite in negozio fisico e vendite online.

Key4biz. Perché?

Davide Rossi. Il commercio elettronico è una realtà importante e in costante crescita; indubbiamente esso rappresenta anche una opportunità per imprese e consumatori (ovviamente a patto che vi siano condizioni regolamentari e fiscali simmetriche). In alcuni settori, ad esempio l’elettronica, le vendite online si avviano a rappresentare il 20% del giro di affari complessivo. Non si tratta quindi di un mercato marginale e non può essere lasciato privo di regolamentazione.

Poiché nella odierna proposta nulla viene scritto in relazione alle vendite online (come anticipato da Key4biz n.d.r.) (e alcune dichiarazioni del Relatore del provvedimento sembrano ipotizzare successivi interventi coordinati anche a livello internazionale) ci si trova di fronte al concreto rischio di accentuare le asimmetrie normative esistenti a favore delle piattaforme online.

Key4biz. Quali per esempio?

Davide Rossi. Proprio in una ottica di massima e sana competizione, molti operatori commerciali tradizionali hanno abbracciato le vendite online valorizzando al tempo stesso i propri punti di vendita fisici tramite la modalità cosiddetta “clicca e ritira” che consente ai consumatori di acquistare dal sito e ritirare di persona nei punti vendita risparmiando sui costi di spedizione. È quasi superfluo sottolineare che il giorno preferito per tali ritiri è la domenica per ragioni di tempo a disposizione e di minor traffico automobilistico. Obbligare gli operatori commerciali che hanno adottato questa modalità alla chiusura domenicale rappresenterebbe una ulteriore ingiustificata penalizzazione.

Key4biz. È stato ipotizzato anche lo stop della consegna la domenica

Davide Rossi. Relativamente, infine, alle ipotesi fatte circolare in relazione ad una ipotesi di divieto di vendita o di consegna nei giorni domenicali, tale previsione è in assoluto contrasto con quando previsto dal Regolamento Europeo 2018/302 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 28 Febbraio 2018 (entrato in vigore il 3 Dicembre 2018) recante misure volte a impedire i blocchi geografici e altre forme di discriminazione dei clienti basate sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento nell’ambito del mercato interno e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE.

Sulla base di quanto in esso prescritto gli operatori online attivi in Europa non solo possono ma devono rendere possibile a qualsiasi consumatore presente in Europa di acquistare, alle medesime condizioni, i beni e i servizi da essi proposti nel web. Pensare di ottenere un via libera dalle istituzioni europee affinché tutti i siti online del continente rifiutino di accettare un ordine di acquisto proveniente – di domenica o il 25 Aprile – dall’Italia è talmente irrealistico da apparire frutto di una evidente svista. Il rischio della distorsione della concorrenza è quindi ulteriormente accentuato se si ipotizzasse di imporre limiti alle vendite fisiche in una prima fase per poi avviare un lungo – e potenzialmente infinito – percorso normativo volto ad adottare analoghi provvedimenti per l’online.

Sono pertanto moltissimi, e a mio avviso insormontabili i rilievi e le censure che possono essere mossi nei confronti del Lodo Dara anche dal punto di vista delle norme sulla concorrenza. Non sono entrato e non voglio entrare in questa sede nel dibattito sulla opportunità del provvedimento. Ma certamente, almeno dal punto di vista tecnico-giuridico, non vedo come sia possibile superare questi rilievi anche di fronte a una fortissima volontà politica di dare seguito alla proposta di legge.

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