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Chip. Crollo dell’8% dell’indice in Borsa negli USA, trascinato giù da Arm e Intel. Le ragioni e l’analisi

Giù l’indice di borsa dei chip, il caso Arm

Il giovedì nero per i titoli legati alle aziende fornitrici di chip negli Stati Uniti trova in Intel e Arm due sospetti responsabili ‘eccellenti’, a cui addossare le colpe del crollo dell’’indice di borsa di quasi l’8%.

Il tonfo dell’indice dei semiconduttori PHLX è classificato come il peggior dato giornaliero da marzo 2020, quando la pandemia di coronavirus aveva fatto precipitare i mercati globali.

Secondo quanto riportato dalla Reuters, infatti, le azioni del gigante britannico Arm sono crollate del 16% dopo la presentazione delle stime per i prossimi mesi.

In sostanza, la paura ha attraversato rapidamente il mercato, perché previsioni conservative mettono in discussione il futuro del settore e raffreddano e non poco l’entusiasmo degli investitori sull’intelligenza artificiale (AI).

Affonda Intel

Questo porta ad un effetto domino rischioso, che ha catturato subito l’attenzione di Microsoft, Alphabet, Amazon e Meta, che vedranno allungarsi i tempi di sviluppi dei nuovi modelli AI, per giunta rafforzato dalle notizie non buone provenienti da Intel.

La Big Tech americana ha infatti annunciato un taglio considerevole dei costi per 10 miliardi di dollari, la sospensione del dividendo del quarto trimestre e il taglio del 15% della forza lavoro.

I motivi di questo crollo? Probabilmente sono legati proprio ai problemi di fonderia, quindi alla produzione di chip. Forse si tratta di timori di bassa redditività e competitività degli attuali chip, con l’attesa del lancio degli Intel Lunar Lake a settembre.
Nel frattempo, però, uno studio legale di Boston sta valutando la possibilità di una class action contro il colosso tecnologico, per diversi casi di crash e instabilità dei processori Raptor Lake (13a e 14a generazione).

A quanto pare, le performance dei rivali Qualcom ed Apple sono al momento nettamente migliori e secondo molti analisti le speranze di Intel sono rivolte addirittura alle prossime generazioni (Intel Panther Lake) che potrebbero essere presentate nella seconda metà del 2025 (e arrivare nei Pc e altri device nel 2026).
Da non dimenticare gli 8 miliardi di dollari di finanziamenti ottenuti dal gigante americano tramite il Chips Act che, dal punto di vista degli investitori, potrebbero anche non esser sufficienti a coprire le perdite legate al settore (almeno fino all’arrivo della nuova generazione di chip Intel).

Le fibrillazioni sui mercati asiatici ed europei

Inevitabilmente, il titolo a Wall Street è affondato subito, con perdite attorno al 13%.
Le fibrillazioni si propagano a tutto il resto del mondo finanziario, in particolare nei mercato asiatici.

Taiwan Semiconductor Manufacturing (Tsmc), il più grande produttore mondiale di chip, ha visto le proprie azioni scendere del 4,6% a Taipei, mentre Samsung ha chiuso con un calo del 4,1% a Seul. Anche SK Hynix, fornitore di Nvidia, ha subito una pesante flessione, chiudendo in ribasso del 10,2%, secondo quanto riportato da Milano Finanza.

Stesso discorso in Europa, con Asml che perde il 10% sul mercato di Amsterdam, e i negativi di STMicroelectronics e Infineon.

Pericolo recessione per l’economia USA e gli effetti dello scontro politico

Queste notizie, unitamente a quelle relative ai rischi di recessione per l’economia americana (forse frutto di propaganda elettorale viste le vicine presidenziali USA di novembre) e alla linea dura della Federal Reserve co una politica monetaria sempre restrittiva, potrebbero avere un impatto molto severo sull’industria dell’AI.

Non è da sottovalutare l’effetto che lo scontro politico interno agli Stati Uniti potrebbe avere sul mercato finanziario e l’industria dei chip, anche in chiave AI, a cui certamente non fa bene la conflittualità commerciale crescente sempre tra Stati Uniti e alleati da un lato e Cina dall’altro.

C’è da preoccuparsi? Chip ancora in salute?

Alcuni potrebbero dire che già due settimane fa era accaduto più o meno qualcosa del genere, con perdite pesanti dei titoli relativi ai semiconduttori. Giovedì 18 luglio Nvidia perdeva il 10%, solo per fare un esempio.

Alla base di quel risultato negativo, troviamo sempre il dato sull’inflazione statunitense più debole del previsto che, secondo gli investitori, avrebbe dato alla Federal Reserve la possibilità di tagliare i tassi di interesse a settembre, le dichiarazioni di Joe Biden (prima del passo indietro, nella corsa alla Casa Bianca, a favore di Kamala Harris) e Donald trump sull’industri dei chip.

Tra gli altri segnali da non sottovalutare, in questo frangente, c’è il forte ribasso dell’incide di borsa della chip industry ha avuto effetti pesanti su tutti i Big del settore, ad esempio ha annullato il buon risultato ottenuto solo mercoledì scorso da Amd, facendo perdere il 7% a Nvidia.

Secondo gli esperti, al netto di tutti questi elementi di massima rilevanza, ma di comprovata ‘temporaneità’, rimane una domanda di chip che non sembra avere fine e che nei prossimi anni, almeno fino al 2035, crescerà costantemente, così come i progetti di nuovi modelli di AI e la loro diffusione intersettoriale a livello di applicazioni industriali.

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