Protezionismo

Chip AI, la scure di Biden sulle esportazioni. Nvidia ci vede un danno per l’economia USA. Dove porta una politica del genere?

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Nvidia ha criticato il nuovo tentativo dell'amministrazione Biden (ai titoli di coda) di rafforzare la presa di Washington sui flussi di chip per l'intelligenza artificiale in tutto il mondo. Nvidia lancia l’allarme sulle possibili conseguenze anche sull’economia nazionale. Il protezionismo in chiave anti-cinese potrebbe avere effetti indesiderati, anche sugli alleati americani.

Chip AI, il colpo di coda di Biden (contro la Cina)

L’amministrazione Biden sta per lasciare il testimone a Donald Trump e tra le ultime mosse c’è un ennesimo giro di vite sulle esportazioni di chip di intelligenza artificiale (AI) prodotti negli Stati Uniti verso specifiche aziende e determinati Paesi (la lista nera guidata dalla Cina).

Secondo quanto riportato da Bloomberg, l’obiettivo è favorire lo sviluppo dell’AI e del supercalcolo solo tra i Paesi alleati di Washington, contrastando altri mercati, considerati vicini alla sfera cinese.

In un mondo sempre più digitalizzato, chi ha una maggiore potenza di calcolo può acquisire un vantaggio competitivo significativo in molti settori, dall’industria manifatturiera al commercio. Chi controlla le tecnologie chiave può influenzare le regole del gioco a livello globale, definendo gli standard e le norme. Gli Stati Uniti puntano ad estendere i propri standard e le proprie norme immaginando un ritorno economico-finanziario immediato.

I nuovi controlli sulle esportazioni includeranno presumibilmente diversi livelli di restrizioni sui chip, offrendo alle nazioni “amiche” pieno accesso ai chip realizzati negli Stati Uniti, aggiungendo nuove limitazioni agli altri, come la quantità di potenza di calcolo a cui una nazione può ambire.

I pericoli del protezionismo secondo Nvidia

Una politica protezionistica che potrebbe però avere “gravi ripercussioni sull’economia americana, secondo Ned Finkle, vicepresidente degli affari governativi di Nvidia. Secondo Bloomberg, infatti, Finkle si sarebbe lamentato di una strategia controproducente da parte dell’amministrazione uscente, che “non promuove veramente la sicurezza nazionale”, perché punta solamente a danneggiare la Cina, senza prendere in considerazione gli impatti sull’economia nazionale e il business delle imprese americane.

In questo modo ampi mercati globali sono spinti a cercare delle ‘alternative’ ai chip americani”, ha sottolineato il vp di Nvidia: “chiediamo al presidente Biden di non anticipare l’amministrazione entrante promulgando una politica che danneggerebbe solo l’economia statunitense”, con la possibilità concreta di far “regredire l’America e favorire il gioco degli avversari degli Stati Uniti“.

Finkle ha sostenuto che il ruolo guida degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale verrebbe indebolito, perché la norma “imporrebbe un controllo burocratico sul modo in cui i principali semiconduttori, computer, sistemi e persino software americani vengono progettati e commercializzati a livello globale“.

Non a caso, nei giorni scorsi, il CEO di Nvidia, Jensen Huang, ha espresso la volontà di incontrare quanto prima il Presidente eletto Donald Trump per avviare una proficua collaborazione sulle politiche nazionali relative all’AI e quindi all’industria dei chip.

Indebolire l’innovazione significa rendere più vulnerabile l’economia americana

Il punto è che questa tecnologia strategica è ormai presente ovunque a livello hardware, trasversale ad ogni settore economico. Per questo non è da sottovalutare il giro di vite imposto da Biden.

Quando si parla di innovazione e di leadership americana nell’innovazione è bene ricordarsi che nei decenni scorsi, in molti settori, la regolamentazione statunitense è stata relativamente flessibile, favorendo la sperimentazione e l’introduzione di nuove tecnologie.

Parliamo di un Paese che nel tempo si è dimostrato ampiamente in grado di attrarre i migliori talenti da tutto il mondo, contribuendo a rafforzare il proprio ecosistema dell’innovazione, aprendo a collaborazioni internazionali con ricercatori e imprese di altri paesi, accelerando lo sviluppo tecnologico.

La realtà però si impone e come sempre accade obbliga a delle riflessioni ulteriori. Paesi come Cina e Corea del Sud (nonostante sia un alleato americano) stanno investendo pesantemente in ricerca e sviluppo, sfidando la supremazia americana in molti settori, tanto che su questo piano lo stesso Trump ha già minacciato Taiwan.

La leadership a stelle e strisce nell’innovazione tecnologica è stata il risultato di una combinazione di fattori storici, culturali e politici. Tuttavia, questa posizione non è garantita e richiede continui investimenti, politiche lungimiranti e un adattamento ai rapidi cambiamenti del panorama tecnologico globale.

Le politiche protezionistiche di un paese possono provocare reazioni simili da parte degli altri paesi, innescando una guerra commerciale che andrebbe a danneggiare tutti, anche i Paesi alleati.

C’è da chiedersi, quanto paga davvero puntare tutto sul protezionismo in salsa Biden o Trump?

USA vs Cina, politiche industriali sempre più aggressive nel 2025

Il 2025 si prospetta come un anno cruciale per il settore dei semiconduttori, con implicazioni profonde a livello geopolitico. La crescente domanda di chip, alimentata dall’intelligenza artificiale, dall’IoT e da altre tecnologie emergenti, ha reso i semiconduttori una risorsa strategica di primaria importanza.

Questa crescente domanda, unita a una complessa catena di approvvigionamento globale, ha esacerbato le tensioni tra le principali potenze economiche, in particolare tra Stati Uniti e Cina.

Entrambi i Paesi stanno investendo massicciamente per rafforzare le proprie capacità produttive di chip. Il CHIPS and Science Act degli Stati Uniti e il Made in China 2025 sono solo due esempi di queste politiche industriali aggressive.

A dicembre le azioni di Nvidia erano cresciute del 14%, ma dal 6 gennaio ad oggi è iniziato un trend negativo che ha generato perdite superiori all’11%.

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