Una domanda a sinistra aleggia sul “Cielo sopra Roma” (ma non meno su quello “sopra” Berlino o Parigi o Londra con tempi più accorciati) sintetizzata dal pur pragmatico “Lodo Franceschini” (ex volenteroso e impegnato Ministro della Cultura): come andremo alle elezioni (non prossime ma certe) tra piu o meno 24 mesi ? Il “Lodo Franceschini” segnala (quasi nello sconforto!) che non potendo andare uniti (in una coalizione attorno ad un “programma comune”) alle prossime elezioni non avremmo alternativa che “andare disuniti per poi colpire uniti” al Governo ma dopo, purché ci si arrivi.
La leva sarebbe semplicemente un accordo sui collegi uninominali (37% dei collegi) con le solite “desistenze” per far vincere il migliore nella coalizione di sinistra (o centro- sinistra) con più chance di vincere. Nonostante la “giusta freddezza” di Elly Schlein e invece l’ardore (un pò eccessivo) di Conte del M5Stelle, non è sbagliato e tatticamente intelligente, ma domandarsi con quale obiettivo lo è altrettanto, anzi assolutamente necessario.
Infatti, la vexata questio è che con questo assetto elettorale si vince in coalizione non solo per il tipo di legge elettorale ma per un elettorato che vuole eleggere una coalizione stabile perché domanda stabilità dei Governi per ridurre incertezza, che si raggiunge con chiarezza di obiettivi ben visibili in un programma comune, e dunque prima e non dopo le elezioni. Ogni altra soluzione di ingegneria elettorale che non produca prima una coalizione attorno a pochi punti chiari di un programma produrrebbe più astensione che è proprio quello che (giustamente) la Schlein vuole evitare mobilitando quell’elettorato altrimenti “si sarà perdenti”.
L'”elettore razionale” non vuole correre il rischio di instabilità del Governo dopo le elezioni perché vorrebbe un “Governo che governi” per cambiarlo eventualmente solo dopo che ha svolto il suo compito. Questione strategica che la destra pensa da sempre di risolvere con il Presidenzialismo o anche nella sua versione recente e pur ” annacquata” di Premierato per battere un “parlamentarismo inconcludente”, comunque gia’ finito per l’ennesima volta in 30 anni in cantina in attesa di tempi migliori viste le barriere costituzionali che dovrebbe superare.
Dunque dicevamo, “Lodo Franceschini” (o dell’ordine sparso) come soluzione tattica in mancanza di condizioni di un Nuovo Ulivo, “contro” una soluzione strategica che parta da un “Programma Comune”, che – pur minimo ( ma non minimalista) – assicuri stabilità al cammino del Governo nei suoi 4 anni di vita.
Un “Programma Comune” che dunque sia informato da un’ispirazione riformatrice “forte”. Per la semplice ragione che per essere tale dovrà rispondere ai vincoli e alle possibilità di un paese che non cresce da 30 anni se non allo 0 virgola qualcosa e che si trascina dunque un debito enorme da 3mila miliardi che può essere garantito solo dall’Europa oppure siamo in default. Dunque servirebbe un Programma Comune per la Crescita altrimenti quelle Riforme necessarie non riusciremo a farle, certo non riusciremo senza l’aiuto dell’Europa.
Una Europa più unita anche questa e con il trumpismo in agguato con dazi e spese militari aggiuntive NATO più autonoma per difesa e nel commercio dato che dovremo rinunciare allo storico “ombrello di sicurezza USA”. E per farle quelle Riforme serve allora un paese più unito con una Coalizione di Centro Sinistra che unita possa governare 4 anni e realizzare quelle riforme minime ma necessarie a ridare un percorso di crescita condivisa di medio-lungo termine e che questo Governo nonostante PNRR e decoupling dal Patto di Stabilità non è riuscito e non riesce a fare viste le scombinate riforme proposte già finite in cantina.
Senza il quale non potremo assicurare le risorse necessarie per il welfare che abbiamo, per il taglio alle code della sanità, per una politica energetica che riduca le tariffe bilanciando sostenibilità e politiche green con adeguati investimenti sulle rinnovabili, per una scuola appropriata alle sfide della conoscenza, per un mondo del lavoro con salari acconci (e “salario minimo”), per trasporti locali e nazionali appropriati al quarto esportatore del pianeta.
Tralasciando programmi faraonici come il “Ponte Sullo Stretto” che non ci possiamo permettere ma con una politica industriale robusta che guardi al fatto incontestabile che siamo dei trasformatori e tali rimarremo per i prossimi 30-50 anni e che abbiamo filiere da sostenere nell’evoluzione di un digital manufacturing ormai esposto alle sfide dell’AI che sta cambiando radicalmente il nostro modo di lavorare. Visti i rischi crescenti di competitività e finanziari in un mondo sempre più multipolare e non più USA-dipendente servono allora strategie di diversificazione delle nostre esportazioni, già più aperte di altri paesi europei e degli stessi USA o della Cina.
Tenendo conto di un mondo più diviso ma anche con più opportunità purché capaci di comprendere i nostri limiti strutturali e come porvi rimedio migliorando la nostra capacità innovativa (processi di diffusione) investendo su formazione e su nuovi rapporti tra impresa, scuola e università. Integrando le istituzioni pubbliche e private che di innovazione si occupano dalle università ai centri di ricerca, dalle fondazioni alle reti di servizi ed energetiche.
Con un Programma di Riforme dunque per crescere facendo squadra e sviluppando sistemi integrati, dentro le imprese e fuori sviluppando reti territoriali interdisciplinari e transdisciplinari, intersettoriali supportate da investimenti nel digitale e nell’AI. Costruendo territori ibridi con città e reti ibride per nuovi lavori e prodotti/servizi/settori sempre più ibridi.
Perché questa sarà la natura della nuova manifattura del futuro che è già tra noi e che ci consenta quella diversificazione necessaria delle nostre produzioni per esportare anche fuori dal perimetro euro-occidentale, dal Messico al Vietnam, dal mondo arabo al sud est asiatico.
Un programma per saldare più welfare con più crescita e meno debito e costruire una Quarta Via oltre quella Terza già esplorata (ma sconfitta da una globalizzazione asimmetrica e ingiusta che fu di Clinton e Blair che nella “triangolazione miope” USA-Sicurezza, Cina-manifattura e Russia-Energia ha impoverito le classi medie portandole a votare per nazionalismi e sovranismi estremi essendosi ritrovate con salari calanti e potere d’acquisto tagliato, welfare indebolito) nel pertugio stretto tra neoliberismo e socialdemocrazia attraverso un nuovo multilateralismo pragmatico di un post fordismo inclusivo e partecipato che allarghi i margini di condivisione di rischi globali crescenti anche a lavoratori e risparmiatori (non finanziari) perché gli Stati e i soli shareholders privati non bastano più a fronteggiare quei rischi (climatici, sanitari, energetici, delle nuove povertà sempre più educative vista l’ esplosione di nuove tecnologie digitali e dell’AI e i fabbisogni di competenza) come non basta il neo-feudalesimo oligopolistico (del trio Trump, Musk, Thiel di turno) che si vorrebbe realizzare a compensazione smontando Stati e Agenzie con una iper-deregulation e privatizzando tutto dalla sanità alle carceri alla scuola, nonostante i fallimenti già sperimentati del paternalismo dello trickle down theories (sgocciolamento) ma ora moltiplicato per mille e senza alcun paternalismo perché guidato dalla presunta efficienza razionalistica di una “tecnologia neutrale” che dovrebbe portare ricchezza a tutti per l’eternità.
Questo l’orizzonte trasformativo ed evolutivo riformatore sul quale misurare consenso e programma utili a sostenere la prossima campagna elettorale con qualche chance di successo tra antieuropeismi sovranisti e populisti divisivi e distruttivi con una bussola ben orientata ad una Europa unita e forte (con logiche Federative e con voto a maggioranza) seppure più agile, flessibile e meno burocratizzata. A partire dal grande appuntamento dell’Automotive al 2035 e delle sue filiere di componentistica con auto ibride e accogliendo le sfide di una “neutralità tecnologica” capace di fronteggiare i due grandi pachidermi che sono USA e Cina e le trappole commerciali di dazi insensati che spengono il commercio internazionale accendendo nuovi fuochi inflazionistici, evitando di scadere in nuovi antiamericanismi insensati e fragili.
Cioè difendendo l’industria europea con strategie comuni del dialogo e di politiche industriali-commerciali credibili, compatibili e sostenibili entro perimetri di nuovi Accordi Commerciali sub-Globali (Mercosur, Asean et al. come strumenti innanzitutto di riduzione tariffaria nei commerci reciproci oltre che di conflitto) anche con appropriate azioni di accoglienza e di integrazione migratoria (sospinte dai conflitti globali) visto peraltro l’invecchiamento delle nostre società e senza rinunciare al sostegno alla crescita dell’area Afro-Mediterranea, del sud-est asiatico o araba tra nuovi regionalismi continentali e globalismi aperti per re-iniettare fiducia nei rapporti internazionali e anche nelle classi medie rilanciando possibilità di ascensione sociale nella promozione di reti di comunità per territori vitali e dinamici quali fonti di varietà e pluralismo.
Certo rimanendo ben piantati nella difesa e promozione dei Diritti Sociali e del Diritto Internazionale umanitario e commerciale contro tutte le oligarchie e gli emergenti feudalesimi (di Est e di Ovest) di piattaforme neo-tecno-con (MEGA) invasive e senza briglie che affermando i valori di un individualismo radicale, solipsistico e alienante (vedi fenomeno degli Hichikomori giapponesi ma anche del patologico abbandono scolastico italiano o dei fenomeni di bullismo violento o di revenge porn sui social) contestando le stesse leggi consolidate di un capitalismo democratico e competitivo (inclusivo, responsabile, libero e aperto) e a favore di corporazioni oligopolistiche senza freni e limiti.
Una attenzione forte alle degenerazioni emergenti che ci ha stimolato a sviluppare da Marsiglia anche il Presidente Mattarella o Papa Francesco in difesa dei bambini con la recente Conferenza Internazionale.
Perché solo in questo modo si potrà produrre nuova condivisione mobilitando le aree di astensione, di scetticismo e di indifferenza verso la politica e la società comprese le spinte antisistema (caotiche e anarchiche travestite da nuovi nazionalismi autarchici) per una democrazia partecipata, inclusiva e di cittadinanza, a cui il “Lodo Franceschini” non è in grado di dare risposte strategiche credibili con una coalizione e programma sostenibili e difendibili prima del voto e non dopo.