Domani, 4 ottobre 2018, verrà presentato alla Camera dei Deputati il 3° Rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che ha l’obiettivo di presidiare i 17 sustainable development goals (SDG) dell’Agenda Globale ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Nell’ambito del SDG #9 (“Costruire una infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione e una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile”), abbiamo proposto una profonda riflessione nel campo delle infrastrutture, rilevando come le performance del Paese siano ancora preoccupanti, soprattutto nella promozione dell’innovazione e nel sostegno alla ricerca e sviluppo di settore.
Le esigenze di “infrastrutture resilienti” e robuste sono numerose e richiedono investimenti molto significativi. Senza contare l’enorme problema delle abitazioni non a norma, delle infrastrutture idriche, di generazione rinnovabile di energia, di trasporto multimodale delle merci e approvvigionamento / distribuzione di LNG (liquefied natural gas), … un aspetto che si sta rivelando particolarmente critico a seguito del crollo di Genova riguarda la sicurezza stradale attraverso la predisposizione di un massiccio piano nazionale di manutenzione delle infrastrutture stradali — in particolare ponti e viadotti. Vogliamo mostrare qui come la ‘digitalizzazione’ di tali infrastrutture ne migliorerebbe la sicurezza e l’efficienza di utilizzo.
Il recente tragico crollo del viadotto Morandi di Genova ha portato alla luce gravi carenze di monitoraggio e manutenzione sull’intera rete autostradale. Studi condotti in vari Paesi concordano su durate di vita limitata a 50÷70 anni per i ponti in calcestruzzo, sia per il deterioramento dei materiali che per le condizioni di utilizzo molto più gravose di quelle stimate in fase di progettazione, a causa dell’enorme incremento di traffico, pesi trasportati, ecc. che a loro volta accelerano il processo di deterioramento dei materiali, imponendo un monitoraggio continuo per poter intervenire con tempestività laddove richiesto. Le “infrastrutture resilienti” necessitano di sistemi di monitoraggio e ‘manutenzione predittiva’, mediante rilevamento (automatico) dei principali parametri ambientali, fisici, chimici, meccanici, … per poter stimare lo stato di salute della struttura e i tempi di possibili defaillance (più o meno serie), e prendere in tempo utile le opportune contromisure. La relativa norma UNI 1047 risale al 1993, ma risulterebbe poco (o nulla) applicata.
Nel caso del calcestruzzo (o cemento) armato, la porosità e permeabilità dei materiali sono tra le principali cause di degradazione strutturale, non potendo impedire agli agenti aggressivi esterni di penetrare all’interno della struttura e causare formazioni di carbonati e ossidi, che riducono le dimensioni e resistenze delle armature in ferro, compromettendone le prestazioni e la vita utile. Occorre poi considerare variazioni termiche (incendi, esplosioni, …) e fenomeni meteorologici estremi, terremoti, assestamenti strutturali, aumento dei carichi da traffico, vibrazioni, ecc. Esistono fortunatamente sensori ad hoc, test chimici e algoritmi matematici che permettono di stimare la vita utile di una struttura in calcestruzzo armato a partire dai relativi dati così rilevati.
Il grosso delle strutture di ingegneria civile del Paese è stato realizzato tra gli anni ’60 e ’70, età pericolosamente vicina alla citata vita media di 50÷70 anni, e deve resistere da decenni ad un aumento esponenziale dei carichi applicati, degradazione dei materiali e impatti degli agenti ambientali. Dovrebbe pertanto diventare obbligatoria la valutazione del risultante comportamento strutturale con moderne tecniche predittive / prescrittive – tipiche degli algoritmi di (big) data mining / cognitive computing – in modo che i potenziali difetti possano essere rilevati nelle fasi iniziali e la sicurezza garantita mediante adeguata manutenzione mirata. Le (sole) ispezioni visive (peraltro saltuarie) non possono fornire informazioni sufficienti sulla durata della struttura, mentre monitorando con continuità la salute strutturale con information & communication technologies (ICT), eventuali anomalie possono essere rilevate con tempestività, ottimizzando gli interventi (mirati) di manutenzione e riducendone in tal modo i costi operativi.
Oggi sono disponibili una varietà di tecnologie e sistemi di structural health monitoring (SHM), che consentono un monitoraggio continuo e sistematico delle infrastrutture ben più efficace delle telecamere, utilizzate più per il monitoraggio del traffico che della infrastruttura, e il cui funzionamento è tra l’altro influenzabile dal maltempo (V. caso di Genova). Grazie all’ampia disponibilità di tecnologie per la raccolta, l’archiviazione e l’analisi di dati è relativamente agevole realizzare una manutenzione predittiva (‘su condizione’), utilizzando i continui progressi nel data mining / machine learning. Oltre ai sensori da installare in loco per il monitoraggio strutturale – rilevatori internet of things (IoT) dell’integrità delle giunture, dispiegamento di fibre ottiche all’interno delle strutture per rilevarne le deformazioni mediante misura delle variazioni delle prestazioni elettromagnetiche, misura delle vibrazioni mediante accelerometri e altro, … -, ci sono i droni e le tecnologie satellitari in grado di monitorare anche piccoli spostamenti delle infrastrutture – ad es. i radar ad apertura sintetica (SAR).
In questo quadro la digitalizzazione è fondamentale. Grazie alle reti digitali è possibile costruire vere smart communities nell’ottica della “Società 5.0”, che aiuta a risolvere i problemi della collettività piuttosto che semplicemente migliorare la produttività. Oltre ai sensori necessari a monitorare lo stato di sicurezza dei tronconi del viadotto Morandi, occorrerebbe istallare sensori adeguati per la manutenzione predittiva IoT di TUTTE le infrastrutture del Paese, con massiccio utilizzo di Intelligenza Artificiale (AI) a partire dai parametri rilevati automaticamente e continuamente nelle strutture, per derivarne stime e predizioni sui possibili comportamenti, e prescrizioni sulle misure da adottare in tempo utile, prima che si verifichino guasti. Una volta tanto l’Intelligenza Artificiale, sovente generatrice di timori (non infondati) sulle potenziali influenze negative sui posti di lavoro, si rivelerebbe di enorme impatto positivo per la nostra Società nel suo complesso – creando tra l’altro occupazione invece di ridurla.
Ma quante sono le strutture sospese e quanti fondi sarebbero richiesti? Non esiste purtroppo un registro unico, e di conseguenza numeri certi. Il Direttore dell’Istituto Tecnologie delle Costruzioni del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ITC), Antonio Occhiuzzi, afferma che in Italia ci sono almeno 10.000 viadotti (più ponti insieme creano un viadotto) di cui ignoriamo la tenuta e che, per età e traffico sostenuto, potrebbero essere a rischio crollo. La rete di Autostrade per l’Italia (oltre 2.800 km) avrebbe oltre 1.800 ponti, ma se si pensa alle reti di ANAS, Amministrazioni Locali, AISCAT, … si può arrivare a varie centinaia di migliaia se non milioni, come sostengono alcuni esperti, con una minima parte sotto monitoraggio continuo.
Sebbene ogni singola struttura potrebbe essere ‘cablata’ con poche migliaia, decine o centinaia di migliaia di euro (questi ultimi stimati per il gigantesco viadotto Morandi), in base alla dimensione e complessità, si tratterebbe comunque di investimenti cospicui. Ovviamente le piccole strutture potrebbero essere equipaggiate con sensoristica molto meno estesa e costosa di quelle più grandi, e raggruppate in pool territoriali che minimizzino i costi di registrazione ed elaborazione dati utilizzando data center condivisi di monitoraggio. Una valutazione MOLTO approssimativa dei costi – trattandosi di un argomento “multi-stakeholder” molto complesso, da approfondire in maniera ben più rigorosa di quanto sia possibile fare in questa sede – indicherebbe alcuni miliardi di euro per l’installazione di adeguata sensoristica e software di elaborazione dati prodromica alla manutenzione predittiva – da spalmare gradualmente su un periodo pluriennale, in base all’età, carico ed altri parametri rilevanti delle varie strutture.
Staremmo parlando dello 0,1% di PIL o giù di lì per qualche anno. Molti soldi? Non sono pochi, anche perché riguardano il solo monitoraggio, e non le opere civili di manutenzione. Tuttavia, quanto a lungo dovremo ancora continuare a spendere (soldi e lamenti) a seguire avvenimenti tragici, e non iniziare ad investire in prevenzione ex ante piuttosto che riparazioni ex post? Le cifre da impiegare in prevenzione sarebbero peraltro inferiori al cumulato di quanto il Paese spende continuamente in riparazioni e ‘rattoppi’ ex post per ovviare alle conseguenze della mancata prevenzione. Inoltre, potrebbero essere prelevate dagli introiti dell’asta delle frequenze 5G, circa 6,5 miliardi di euro, molto superiori ai 2,5 miliardi preventivati e, per dichiarazione del Ministro Di Maio, da «reinvestire in nuove tecnologie».
Ovviamente, un primo passo, fondamentale ed urgente, sarebbe la mappatura delle infrastrutture, attraverso un registro centralizzato analogo al Sistema Informativo Nazionale Federato delle Infrastrutture (SINFI) per le reti di telecomunicazione a cura del MISE. I tempi concessi dal relativo Decreto (16 Giugno 2016) per la comunicazione al SINFI dei dati relativi alle infrastrutture erano 90 giorni per gli operatori privati e 180 giorni per le Amministrazioni Pubbliche. Data la vastissima moltitudine di player nelle comunicazioni elettroniche (operatori piccoli e grandi, gestori delle varie utilities, Comuni, Enti Locali, …) il SINFI non è stato ancora completato, ma il minor numero di attori nelle infrastrutture stradali potrebbe ragionevolmente consentire una realizzazione molto più rapida del registro delle infrastrutture viarie.
Questo per le strutture esistenti (“brownfield”). Ma cosa fare per le nuove opere (“greenfield”)? Occorre attuare nuovi strumenti di progettazione strutturale, con norme vincolanti che equiparino la prevenzione infrastrutturale alla normativa vigente per la sicurezza. Utilizzare sinergie tra Impresa 4.0 e Intelligenza Artificiale, dalla cui unione nasce il “digital twin”, un approccio innovativo di confronto tra dati reali rilevati e sistemi di analisi, simulazione e calcolo, capace di analizzare e stimare virtualmente prestazioni reali. Robert Plana di GE Digital, che sviluppa soluzioni industrial internet of things (IIoT, altra denominazione di Impresa 4.0) definisce il digital twin «una sorta di modello in vivo di un impianto, realizzato dall’incrocio tra i dati reali di funzionamento e i calcoli per la progettazione, che consente di costruire una copia virtuale dell’impianto reale, in grado di replicarne il funzionamento effettivo e prevederne i possibili comportamenti». Si potrebbe cioè realizzare, per ciascuna nuova opera, un modello ‘gemello’ su cui simularne i comportamenti sulla base di dati reali rilevati in situazioni analoghe – utilizzando a esempio tecniche di supervised machine learning. Gartner stima una crescita esponenziale dei progetti IoT che utilizzeranno “gemelli digitali” per poter testare le soluzioni prima di realizzarle effettivamente.
In sintesi, per la messa in sicurezza della rete viaria in esercizio occorrerebbe innanzitutto promulgare – in tempi estremamente ristretti (mesi, non anni) – norme-quadro vincolanti per equiparare la prevenzione infrastrutturale agli obblighi per la sicurezza previsti dalla normativa vigente. Nel contempo, attivare senza indugio una mappatura delle infrastrutture (V. esempio del SINFI), costruendo un registro informatizzato delle opere civili (ad es. basato su tecnologia blockchain) che ne individui età, parametri strutturali, stato di “salute”, storico degli interventi manutentivi, … in grado di costituire un ‘catasto’ organizzato per classi di rischi potenziali e relative priorità degli interventi manutentivi da porre in essere, con contestuale istallazione di adeguata sensoristica SHM. Il 2019 dovrebbe vedere (almeno) le infrastrutture più a rischio (manutenute ed) equipaggiate con le più moderne tecniche di monitoraggio IoT / AI, con completamento nel successivo biennio / triennio di tutte le restanti strutture viarie del Paese.
Relativamente alle opere civili da realizzare (“greenfield”), imporre l’applicazione delle citate norme–quadro di prevenzione infrastrutturale, e le moderne tecniche di progettazione strutturale in relazione alle caratteristiche geologiche, ambientali, logistiche, … del territorio di riferimento, con largo impiego di ICT e metodologie “digital twin” / IIoT, comunicazioni a bassissima latenza (5G), algoritmi e modelli AI per la predizione di eventi a rischio, ecc.
Ultimo ma non meno importante, una precisa e costante informazione alla cittadinanza sui rischi potenziali nel periodo transitorio di messa in sicurezza dell’intera rete viaria nazionale, che – lungi dal creare situazioni di panico – metta in condizione la popolazione di poter attuare tutte le cautele e le scelte di percorso più adeguate alle rispettive esigenze di spostamento sicuro.
Auspicando che le autorità Governative e Istituzioni preposte prestino adeguata attenzione a quanto sopra, il Club Dirigenti delle Tecnologie dell’Informazione e Stati Generali dell’Innovazione sono disponibili a mettere le proprie competenze e professionalità specifiche a supporto delle Istituzioni che ritenessero di farsi carico di quanto sopra, per quanto concerne advisory e supporto tecnico – inclusi gestione progetti o sotto-progetti – alla realizzazione del monitoraggio IoT / SHM e relativi paradigmi di predizione / Intelligenza Artificiale.
«Occorre conoscere por poter deliberare» (L. Einaudi)
Articolo a cura di Fulvio Ananasso, Advisor, Imprenditore e Innovation Angel – Digital Tranformation Economy. Consigliere CDTI e Presidente di Stati Generali dell’Innovazione