Spesso diciamo che l’Italia è piuttosto indietro in termini di innovazione digitale nella Pubblica Amministrazione, e di regola lo diciamo sulla base di percezioni personali (esperienze che ci risultano lontane dagli standard che vorremmo) ma anche sulla base di informazioni che provengono da fonti autorevoli.
Proviamo a pensare un attimo “fuori dagli schemi”.
Secondo l’indice DESI (Digital Economy and Society Index) utilizzato dalla Commissione Europea per tracciare lo stato dei progressi in ambito digitale degli Stati membri, l’Italia è al quartultimo posto dell’indice generale (davanti solo a Bulgaria, Grecia e Romania), con un posizionamento migliore ma non ancora soddisfacente (ventesimo posto) nell’indice specifico dei Digital Public Services.
Secondo l’indice EGDI (e-Government Development Index) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite relativo al Governo digitale, nel 2018 l’Italia si trova, al contrario, in buona posizione: 14esima tra i paesi europei e al 24esimo posto tra le top 40 al mondo, davanti anche a nazioni generalmente considerate all’avanguardia nelle tecnologie digitali quali Russia ed Israele, e sale addirittura nella top 10 per la componente di servizi online della Pubblica Amministrazione centrale.
Salta subito all’occhio qualcosa di strano: laddove entrambi gli studi segnalano esplicitamente un ritardo sulle componenti infrastrutturali, il messaggio complessivo è piuttosto discordante.
La motivazione sembra da ricercarsi nella composizione degli indici, nel modo in cui sono raccolti i dati, e, non ultimo, nel modo in cui sono comunicati.
Non è necessario essere un analista esperto per rendersi conto che ciascun indice è una media ponderata di diversi fattori, dove la priorità assegnata a ciascun elemento pesa in maniera significativa sul risultato.
In aggiunta, bisogna considerare che i pesi applicati nel calcolo degli indici sono gli stessi per tutte le nazioni (e non potrebbe essere altrimenti) a discapito delle specificità locali.
Ancora, va sottolineato che l’Italia è partita in ritardo rispetto agli altri paesi “top” europei e mondiali, per cui i progressi finora ottenuti sono meno evidenti se ci si ferma a considerare le posizioni assolute.
Non da ultimo, le cattive notizie raggiungono mediamente un pubblico maggiore rispetto a quelle positive, e, diciamoci la verità, gli esperti hanno a volte la cattiva abitudine di enfatizzare le lacune con la speranza di essere chiamati a risolverle.
Perché invece non proviamo a considerare il bicchiere mezzo pieno?
L’Italia sta recuperando il gap rispetto agli altri Paesi andando veloce in termini di innovazione digitale nella Pubblica Amministrazione, con picchi di eccellenza conosciuti ed evidenziati a livello internazionale: sono ormai molte le pratiche amministrative che possiamo gestire da casa e, aspetti forse un po’ trascurati in alcuni indici, la telemedicina sta facendo passi da gigante e le città stanno diventando sempre più smart. E le competenze digitali dei cittadini? Beh, dobbiamo convenire che tutto sommato migliorano anche quelle se ci accontentiamo sempre meno e chiediamo servizi sempre migliori e più numerosi.
L’innovazione digitale della Pubblica Amministrazione è una sfida complessa, probabilmente più culturale che tecnica: bisogna motivare e formare i dipendenti attuali, bisogna attrarre talenti a tutti i livelli, ci vogliono iniziative mirate.
Un esempio interessante è quello del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che, con il decreto n. 435 del 16 giugno 2015, ha introdotto la figura dell’animatore digitale, ovvero un docente che, insieme al dirigente scolastico e al direttore amministrativo, ha un ruolo strategico nella diffusione dell’innovazione dovendo guidare i processi di attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) nel proprio istituto. Sono anche state avviate delle “community online” per lo scambio di informazioni e buone pratiche, nonché corsi di formazione mirata.
Conosco qualcuno di questi animatori digitali e bambine passate da “non mi piace la matematica” a “da grande voglio fare l’ingegnere perché mi piace programmare i robot”. Conosco professori che hanno cominciato a promuovere strumenti digitali e genitori contenti che tutto ciò stia accadendo.
Presumo che neanche l’iniziativa del MIUR sia perfetta, però l’idea mi piace e credo possa funzionare: perché non estenderla e formare una grande “Community per l’innovazione digitale della Pubblica Amministrazione”? Sarebbe un luogo di incontro, formazione e scambio di idee e buone pratiche a cui potrebbero accedere dipendenti pubblici ed esperti digitali. Gli strumenti per gestirla e tenere alta la motivazione e la partecipazione esistono su mercato open source, così come esistono strumenti per poter attuare altre iniziative.
L’innovazione digitale nella Pubblica Amministrazione si può fare, basta volerlo, ma per guidare il cambiamento ci vogliono la positività, il coraggio e la perseveranza dei grandi leader, ed è questo che ci si aspetta da chi vuole innovare, sia esso un manager, un dipendente, un fornitore, un collaboratore o un giornalista.
“L’entusiasmo è alla base di tutti i progressi” (Henry Ford)
Articolo a cura di Ing. Paola Russillo – Manager esperta di trasformazione digitale e Consigliere del Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione di Roma