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Cavi internet sottomarini buoni per rilevare i terremoti. Nel 2016 ‘sentirono’ quelli del Centro Italia

La centralità dei cavi internet oceanici

In tutto il mondo, sul fondo degli oceani, corrono più di 1.2 milioni di km di cavi internet sottomarini. Si tratta dello scheletro su cui si regge l’intera rete globale. Un mondo sommerso in rapida crescita, dove le grandi aziende delle telecomunicazioni e le società tecnologiche (come Google, Facebook, Amazon e Microsoft) che dominano i mercati molto spesso lavorano assieme per dispiegare e attivare collegamenti suboceanici intercontinentali lunghi migliaia di km.

Ogni due tre anni il traffico dati che scorre in questi cavi praticamente raddoppia e con esso gli investimenti: si va dai 15 miliardi di dollari del 2019 ai 26 miliardi di dollari stimati per la fine del 2027 da Research and Markets.

In questi cavi passa il 97% del traffico internet mondiale e consentono, ad esempio, lo scambio di informazioni tra due sponde di due continenti, o il normale funzionamento di servizi generali di base, come in economia, con transazioni quotidiane pari a oltre 10 trilioni di dollari.

Sono cordoni ombelicali di natura economica, finanziaria, culturale, sociale e certamente politica, ma possono fare molto di più.

Cavi e ricerca scientifica per lo studio dei terremoti

Come raccontato da Jeffrey Marlow in un articolo pubblicato da The New Yorker, questi 426 cavi internet sottomarini oggi in funzione potrebbero anche rilevare terremoti e tsunami.

Nel 2016, quando l’Italia centrale su scossa da un grave evento sismico, di cui ancora oggi si possono osservare le cicatrici in Abruzzo, nelle Marche, in Umbria e nel Lazio, i cavi in fondo al Mare registrarono tutto.

A rendere nota la scoperta è stato proprio un italiano, Giuseppe Marra, ricercatore del National Physical Laboratory di Teddington, in Inghilterra. Durante un esperimento che stava conducendo in quei giorni, in cui irradiava raggi laser sfruttando l’infrastruttura sottomarina di internet per la misurazione del tempo, a livello di ordine di grandezza del quintilionesimo di secondo, Marra ha visto nei grafici l’arrivo del terremoto, attraverso irregolarità nel segnale.

La luce laser può essere studiata come un’onda e in quei giorni si presentarono numerose irregolarità, che poi combaciarono perfettamente con i dati dei sismografi del British Geological Survey.

Quelle irregolarità dovute al terremoto causarono un ritardo nell’arrivo del laser a destinazione. La cosa interessante è che la fibra ottica depositata in fondo agli oceani in molti casi è in grado di “percepire” i fenomeni che si attivano a livello di placche tettoniche.

Le informazioni che se ne potrebbero trarre sono numerose e di fondamentale importanza nello studio dei terremoti che avvengono sui fondali oceanici, di cui si sa pochissimo, nello sviluppo di nuove teorie sulla fisica terrestre e anche nello studio di alcuni tipi di tsunami.

Le società proprietarie temono rischi e costi

Tutto sta a convincere le Big Telco & Tech che hanno il totale monopolio del settore a condividere la loro infrastruttura con i centri di ricerca, che potrebbero affiancare così ai cavi sensori e nuovi sistemi di rilevamento.

Le aziende in questione al momento non ne vogliono sentire parlare, perché come ha spiegato Nigel Bayliff, CEO di Aqua Comms: “L’installazione di un cavo transatlantico richiede dai due ai tre anni e circa duecento milioni di dollari, ogni singola riparazione può costare più di due milioni di dollari. Qualsiasi modifica, anche un modesto pacchetto scientifico aggiunto senza alcun costo per la società proprietaria del cavo, potrebbe comportare dei rischi e nuove responsabilità”.

Nuove frontiere

Una possibilità, si legge nell’articolo di Marlow, sembra esserci negli interventi che il Governo del Portogallo sembra intenzionato a portare avanti per sostituire il cavo che collega Lisbona con le isole Azzorre e l’isola di Madeira.

Entro il 2025, quando sarà operativo, si potrebbero attivare anche una rete di sensori appendice del cavo per il monitoraggio del fondale marino e per sviluppare un sistema sperimentale di allerta terremoti e tsunami.

Nel 2020 Google ha collaborato con l’Università dell’Aquila proprio per sperimentare sistemi di rilevamento simili legati ai cavi sottomarini e sempre la Big Tech ha dato moto a Marra e al suo team di fare la stessa cosa in Inghilterra, a Southport, da dove parte un cavo che arriva ad Halifax, in Canada.

In questo caso, il ricercatore italiano ha fatto un’altra scoperta, il segnale veniva disturbato anche da un altro fenomeno, un ciclone che passava al largo delle coste occidentali dell’Irlanda. Questa volta l’altezza e la forza delle onde di superficie hanno determinare irregolarità nel cammino della luce nella fibra ottica.

Con i dovuti aggiustamenti tecnologici, questi esperimenti potrebbero un giorno salvare molte vite umane nelle aree più densamente abitate di una costa, semplicemente avvertendo in anticipo dell’arrivo di uno tsunami e di un ciclone, con il suo mare in burrasca. Al momento non sembra possibile, ma forse, più in avanti, saranno utili anche a prevedere un terremoto.

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