Finito sotto accusa per essere stato il principale propagatore di notizie false della campagna elettorale americana, Facebook annuncia l’introduzione di una nuova funzione che, secondo il suo fondatore Mark Zuckerberg, dovrebbe aiutare a “salvare il giornalismo”.
Il condizionale è davvero d’obbligo perché, a giudicare dalle precedenti iniziative presentate sotto la stessa bandiera, viene difficile credere che dietro gli annunci pubblicitari non si celi una strategia mirante a tutt’altro obiettivo.
Nel 2015, il colosso di Menlo Park aveva lanciato i cosiddetti Instant Articles in collaborazione con le più importanti testate americane ed alcune europee: si tratta di una funzione che permette di ospitare articoli giornalistici direttamente sulla piattaforma Facebook, caricandoli ad una velocità di dieci volte superiore a quella necessaria per aprire il classico link.
Nelle promesse, si sarebbe dovuto trattare di un miracoloso toccasana che avrebbe “aiutato” i giornali in crisi, spalancando la porta a enormi audience e mirabolanti guadagni; l’esperimento fu accolto con entusiasmo e le voci critiche caddero nel vuoto.
Qualcuno, infatti, più lungimirante, aveva denunciavano il pericolo di una strategia strisciante di controllo della distribuzione delle notizie.
A distanza di due anni quasi tutte le principali testate hanno abbandonato gli Instant Articles che, non sono non hanno portato ad un aumento degli introiti da parte dei giornali, ma hanno permesso a Facebook di trasformarsi nel primo distributore di notizie negli USA. Naturalmente a danno dei giornali.
Pochi giorni fa Zuckerberg – che si dice di nuovo preoccupato di rilanciare il “vero” giornalismo dopo la vittoria di Donald Trump – ne fa un’altra delle sue.
Visto che, a dispetto delle promesse, i proventi pubblicitari degli Instant Articles sono poverissimi e il tasso di “conversione” in abbonamenti a pagamento praticamente nullo, Facebook introdurrà un sistema di pagamento per gli articoli.
I proventi andranno al cento per cento alla testata, annuncia il guru Zuckerberg.
Sembra una buona notizia che viene accolta con entusiasmo dai giornali negli Stati Uniti come in Italia. L’articolo a firma Daniele Vulpi, su Repubblica, comincia affermando che giornali e social media “hanno bisogno gli uni degli altri”.
Peccato che si tratti più di wishful thinking che di dati di realtà .
Facebook non ha bisogno dei giornali, anzi. Al contrario, mira ad acquisire quell’audience oggi ancora fedele ai giornali, asciugando definitivamente l’acqua in cui nuotano le testate.
Del resto, un vero giornalismo a guardia del potere, non potrebbe non essere seriamente preoccupato dei rischi derivanti dalla crescita delle piattaforme cosiddette Over-the-Top che, non solo controllano di fatto i canali di distribuzione delle notizie, ma non vogliono nemmeno assumersi le responsabilità editoriali derivanti da questa posizione dominante. Senza citare l’enorme evasione fiscale che vale centinaia di miliardi di dollari, il controllo delle informazioni usate a scopi commerciali per “scalare” mercati oggi in altre mani, la segretezza degli algoritmi che manipolano cosa vediamo e cosa no, solo per citare alcuni punti.
Insomma dei monopoli che fanno impallidire a confronto con i precedenti casi della storia.
La mossa del sistema di pagamento meriterebbe proprio di essere letta in quest’ottica più che in quella suggerita dalla narrativa ufficiale: dati i risultati delle precedenti iniziative, possiamo davvero credere che Zuckerberg e i suoi consiglieri non abbiano nulla in mente?
Quello dei pagamenti elettronici è un mercato dalle potenzialità incredibili non solo per gli enormi fatturati, ma per la possibilità di gestire e controllare i flussi economici e di penetrare i mercati.
In un mio reportage di alcuni anni fa, un residente di un quartiere palermitano spiegava che, attraverso il controllo delle torrefazioni, la mafia era in grado di avere il polso esatto degli incassi dei bar tramite le forniture di caffè; così si poteva chiedere un pizzo “appropriato” che non strozzasse le aziende fino al punto di farle collassare. Prove generali di big data.
Proprio poco prima dell’annuncio di Zuckerberg, un’altra notizia è circolata in sordina: una start-up di Johannesburg, in Sud Africa, ha messo a punto un sistema di pagamenti integrato con Facebook basato anche su algoritmi di intelligenza artificiale.
La tecnologia consente a qualsiasi impresa di creare un canale di comunicazione con i propri clienti attraverso il popolare social media.
Un po’ troppe coincidenze per non fare due più due.