#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Che fine ha fatto la scala degli investimenti? Se lo chiede Martin Cave che di questo paradigma regolatorio fondamentale è stato il padre.
Per cominciare: un bilancio. Ha funzionato? Cave precisa, non senza disappunto, che la versione pura ha subito nel tempo e nei luoghi diverse interpretazioni che ne hanno alterato la purezza e durezza originaria.
Sì durezza. Perché nella sua versione archetipica la scala degli investimenti significava questo: agevolare l’ingresso degli operatori alternativi con la rivendita; spingerli poi con prezzi più alti verso il bitstream; per costringerli infine, volenti o nolenti, ad infrastrutturarsi con l’unbundling rimuovendo i pioli inferiori della scala.
Lamenta Cave che questa politica di “duro amore” sia stata soppiantata dai regolatori con una di “accesso facile”, nella quale veniva lasciato inalterato il prezzo più basso per tutti i pioli della scala. Impossibile dargli torto: è accaduto proprio così.
Ma – va aggiunto – non era facile per i regolatori decidere altrimenti, tenuto contro dei diversi modelli di business degli operatori presenti del mercato.
Nondimeno l’unbundling ha preso piede in Europa forse più per l’abbassamento dei suoi prezzi – sostiene Cave – che per il rigoroso rispetto della scala degli investimenti.
Se infatti vi è qualcosa che lo studioso inglese non esita un attimo a fustigare è la compresenza di bitstream e unbundling: il primo non produce alcun beneficio positivo, sostiene, né sugli investimenti né sulla penetrazione della banda larga. Senonché dopo questo buffetto ai regolatori europei, Cave è disposto a concedere loro lo zuccherino.
Tenuto conto che il cavo coassiale non è disponibile che in pochi paesi europei, precludendo così la strada alla ideale concorrenza infrastrutturale, l’unbundling era l’unica strada, ed entro questi limiti, ammette che abbia funzionato così come è stato praticato.
Tutta diversa è la questione del rapporto tra unbundling e fibra. Qui la vecchia scala degli investimenti non funziona. Perché Cave sostiene che prezzi bassi dell’unbundling scoraggino gli investimenti in fibra. E non solo.
Offrire agli operatori alternativi la possibilità di attestarsi sulla rete in fibra con il bitstream o il vula significa dissuaderli dall’intraprendere passi costosi nelle infrastrutture.
E allora? Premesso che la realizzazione di infrastrutture alternative end-to-end deve essere l’obbiettivo, Cave ammette che nel breve periodo soluzioni intermedie come il fiber-to-the cabinet possano rappresentare il male minore, tenuto conto della scarsa propensione del mercato ad addossarsi l’impegnativo fiber-to-the home.
Soluzione “modesta” ma dice Cave “non irrevocabile potendo essere tradotta più in là con qualche difficoltà e costi in un regime che eserciti maggiori pressioni sull’incumbent e sui concorrenti al fine degli investimenti”: Insomma: l’opera è appena cominciata!