Tempo di dispiaceri per Google, alle prese con l’attivismo inquisitorio dell’Antitrust europeo.
E tuttavia la primavera non è stata del tutto ingenerosa con i suoi frutti.
Ha recato a Mountan View una rosa con molte spine, certo, ma anche risplendenti di alcuni petali iridescenti.
Sì perché la Corte suprema degli Stati Uniti ha aggiudicato a Google una vittoria molto gratificante sulla ormai annosa contesa che la vedeva parte in causa con i titolari del copyright sui libri messi a disposizione a estratti (snippets) dal motore di ricerca.
La Corte ha confermato pari pari la decisione della Corte di appello del secondo circuito, rilasciata il 16 ottobre 2015, che enunciava una tavola di interpretazioni molto favorevole a Google.
Vediamoli.
1) Il fair use, ossia l’uso lecito di opere altrui, presuppone l’esistenza di una trasformazione del testo tale da renderlo un sostituto e non una copia dello stesso. Orbene la Corte afferma che la funzione di ricerca delle parole chiave messe a disposizione da Google col suo motore di ricerca integra tale trasformazione; non solo: fornire informazioni riguardo a un testo costituisce già di per sé un uso trasformativo (in questo senso giova un precedente della Corte Suprema: il Caso Campbell);
2) La circostanza che Google realizzi una copia integrale dei testi non costituisce violazione del copyright perché essa rende disponibili solo gli estratti e non l’integralità del documento; a questa condizione, non è rilevante che questa copia sia avvenuta senza il consenso del titolare;
3) Non c’è scopo di lucro nelle azioni di Google e quand’anche vi fosse andrebbe soppesato con l’effetto trasformativo dell’opera che fa aggio sulla sussistenza di una funzione economica;
4) La fruibilità di estratti del testo non costituisce un sostituto dello stesso che possa fargli concorrenza;
5) La perdita di entrate per gli autori, derivante dalla libertà di accesso agli estratti (“quello che ho letto mi convince a soprassedere all’acquisto del libro”) non è di tale entità da rendere illecito questo servizio, perché le parti di testo offerte al lettore non sono un sostituto dell’originale, ma un prodotto completamente diverso.
Ecco quindi che la vittoria di Google si staglia in tutta la sua grandezza.
Perché le Corti, invertendo in questa decisione una linea di tendenza molto accentuata dal dopoguerra di tutela intransigente del diritto di autore, riconsiderano oggi la funzione pubblica dello stesso così come delineata dalla Costituzione del 1787, la quale aveva sottolineato che il privilegio dell’autore doveva bilanciarsi con il diritto del pubblico ad accedere alla conoscenza.
E’ difficile dire se la giurisprudenza ne trarrà ispirazione per un cambio di rotta sistematico.
Per il momento però bisogna oggettivamente plaudire alla tenacia di Google che, resistendo con successo in tre gradi di giudizio, ha oggettivamente reso un servizio all’interesse generale.