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Causeries. Net neutrality, la Ue non prenda lezioni dagli Usa

Net neutrality

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#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Le notizie della settimana sono due. La prima proviene dagli USA ed è la certificazione ufficiale del  disastroso bilancio della regolazione in quel paese, il quale solo in qualche canto europeo – o per ignoranza, o per interesse – viene saltuariamente invocata a modello.

Ebbene, il presidente della FCC ha ammesso pubblicamente che solo una famiglia su quattro in America ha la possibilità di scegliere tra due gestori l’accesso alla banda larga.

E questa possibilità è per giunta teorica visto che le regole sulle migrazioni vengono sistematicamente disattese. Ecco quindi la scoperta della FCC: “la possibilità dei cittadini  di fruire della banda larga è legata  alla concorrenza sull’accesso”.

Se fossimo irrispettosi verso tanta istituzione, diremmo che ha scoperto l’acqua calda! Se si aggiunge questa constatazione alla saga Comcast-Time Warner, costellata di colpi di scena dominati a stento dalle autorità, è giocoforza concludere che l’Europa può essere soddisfatta di se stessa.

Una consapevolezza che – e vengo qui alla seconda notizia – pare difficile verificare  se sia presente nel commissario in pectore Gunther Oettinger il quale, da abile politico, si è  attenuto davanti al parlamento europeo alla regola aurea delle “idee poche e confuse” in modo da non alienarsi nessuno. Vi è riuscito perfettamente visto che era impossibile farsi un’opinione alla luce della sua audizione di quali fossero le sue convinzioni, sempre che abbia avuto il tempo di maturarle. Un democristiano purosangue!

Chi invece le idee che le ha chiare è il Consiglio di Stato francese il quale in un magnifico rapporto sul “Digitale e i diritti fondamentali” adottato dal supremo consesso amministrativo a luglio scorso e da poco pubblicato, detta la rotta al legislatore domestico e all’Europa. E lo fa in tipico di stile della “clarté francaise” e di un certo radicalismo robespierrista.

Vediamo due punti salienti di questo opus magnun.

Sembrerebbe a prima vista così, dal momento che i magistrati di Palais Royal dichiarano, da una parte, di ritenere tropo restrittiva  la licenza di gestione del traffico solo nei casi di “congestione temporanea ed eccezionale”; nonché, dall’altra, affermano di prediligere una nozione più ampia di servizi specializzati, autorizzati a beneficiare di corsie preferenziali.

Sennonché aggiungono subito che  a vigilare sulle convenzioni stipulate dai vettori dovranno essere le autorità, alle quali gli operatori saranno tenuti a comunicare preventivamente i contratti riguardanti la banda per i servizi specializzati.

“Le autorità”, dice il CdS, “avranno il potere di opporvisi in caso di rischio manifesto di degrado della qualità generale di internet al di sotto di un livello accettabile. Le autorità di regolazione opereranno altresì un  controllo a posteriori,  un controllo continuo della qualità dell’accesso a internet e avranno il diritto di sospendere i contratti in caso di degrado”.

Alla faccia della moderazione! Il CdS preconizza nientemeno che un Comitato di salute pubblica della net neutrality che va ben oltre le decisioni del Parlamento europeo definite “eccessive”(!?).

Altra  corda assai originale  è toccata dal CdS circa il rapporto tra operatori di rete e OTT. Secondo i giudici, gli OTT più grandi, e solo quelli (per non penalizzare la concorrenza dei più piccoli), dovrebbero remunerare gli ISP non per avere un traffico migliore, ma per non averlo peggiore.

Concetto di non semplice attuazione, direi.

Dove invece il CdS ci convince sic et simpliciter è nella proposta di generalizzare una misura sacrosanta , già presente nell’ordinamento francese, che consente all’ARCEP di decidere delle controversie tra operatori di rete e  fornitori di contenuti, poiché – ovvio del resto – anche questi ultimi sono tenuti a obblighi generali di non discriminazione nella scelta dei loro contraenti.

Giusto! Prudentemente il CdS ammette che questa nuova categoria di soggetti, le piattaforme, non possano essere soggette, in quanto assimilabili agli editori, a un obbligo di neutralità. Ma possono rispondere di un obbligo di “lealtà” “tanto verso gli utenti finali che riguardo a chi mette in rete i propri contenuti o propone i suoi beni e servizi”.

Lealtà? Ossia: assicurare la buona fede nella classificazione e ricerca  senza cercare di alterarle a fini estranei all’interesse degli utenti, come ad esempio per favorire tizio al posto di caio.

Tornerò ancora sulle proposte di questo ricco rapporto. Per il momento il lettore avrà colto una importante presa di posizione nel dibattito che si annuncia nei prossimi mesi a Bruxelles al quale la Francia, d’ores et déjà, ha dichiarato di volere dominare non con le pressioni  politiche ( o meglio: non solo con…) ma – una volta tanto! – con la forza delle idee.

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