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Causeries. Pensavo che il pluralismo fosse una cosa seria

Pensavo sinceramente che il pluralismo fosse una cosa seria fino a quando non ho letto il rapporto di “Reporters sans frontieres” sull’Italia.

Lunare è dire poco.

Innanzitutto perché si sofferma sullo scandalo Vatileaks, sostenendo che legioni di giornalisti sarebbero minacciati e bisognosi della protezione della polizia.

Non sapevo che la Città del Vaticano fosse parte dello Stato italiano e ancor meno mi ero accorto che aleggiasse un clima da Argentina degli anni Settanta sulla libera stampa.

La crassa ignoranza di questi sedicenti reporters sul nostro Paese è davvero sconcertante. E ancora di più lo è la circostanza che i giornali italiani abbiano ritenuto di accordargli un qualche spazio.

Non è per la verità una novità questo ottundimento degli osservatori stranieri sullo stato dell’informazione nel nostro Paese.

Per anni il Consiglio d’Europa e l’Economist in testa hanno rilasciato rapporti e pubblicato articoli talmente allarmistici da fare pensare che l’Italia fosse parente prossimo del Mali più che della Francia.

Dietro questo atteggiamento, aleggia non solo un modo di fare patronizing nei confronti della penisola, ma anche ignoranza bella e buona.

E non solo: una parte importante la gioca anche l’ipocrisia.

Prendiamo proprio gli inglesi. Per due anni hanno dibattuto in gran pompa alla Camera dei Lords la riforma della regolamentazione del pluralismo televisivo all’indomani dei vari scandali che hanno segnato un panorama considerato dai più irenico ed esemplare.

Di fronte alle loro signorie sono sfilati accademici, regolatori, esperti di ogni tipo per reclamare criteri più stringenti e severi. Persino il regolatore britannico si è sbilanciato a favore della riforma.

Risultato?

Niente di niente.

Dopo la vittoria del governo conservatore alle ultime elezioni è calata la sordina.

Passiamo alla Francia.

L’inserimento in costituzione del principio del pluralismo informativo in Italia risale al dopoguerra; in Francia al… 2008!

Ora è certo che il pluralismo non attraversa un momento particolarmente felice in questa congiuntura nel nostro Paese. Ma la maniera di affrontarlo non è certo quella di buttare tutto (passatemi l’espressione) in caciara!

In questa rubrica ho dato conto di due ricerche importanti sulla misurazione del pluralismo: la prima dell’Istituto Universitario Europeo; la seconda diretta da Eli Noam, autorevole professore di Columbia.

Inoltre l’Agcom sta procedendo spedita sulla definizione dei mercati rilevanti del SIC e sull’individuazione delle posizioni dominanti secondo linee largamente condivisibili.

Questo è il metodo – analitico e pratico – per fare i conti con il pluralismo.

Non quello di colpi di teatro destinati solo a catturare per un attimo l’attenzione distratta del pubblico.

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