Giulio Giorello ha dichiarato in un articolo del Giornale che la tecnica non è un bene o un male in sé, ma i suoi effetti dipendono dalle nostre scelte responsabili. Nel contesto di un articolo in cui l’entusiasmo per internet la fa da padrone questa affermazione non sorprende.
Peccato però che la scienza medica non dica esattamente questo. Anzi.
In un libro consacrato alla salute mentale nell’età digitale (E. Aboujaoude, V. Starcevic, Mental Health In the Digital Age, Oxford, 2015) i contributi raccolti passano in rassegna le patologie riconducibili a internet e il bilancio non è tra i più rassicuranti.
Bisogna innanzitutto premettere che il “problematic internet use” gode di uno status scientifico ancora incerto a differenza dell’online gaming il quale è approdato sui lidi del prestigioso Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder americano.
La spiegazione di questa riluttanza ad accreditare scientificamente il disordine mentale da internet risiede nella complessa eziologia delle patologie, le quali sono spesso riconducibili a un concorso di cause, e dove depressione, ansia et altri disturbi classici coesistono con la dipendenza dalla rete.
Diverso è il discorso per l’online gaming dove la ricerca è più avanzata e ha rilasciato sorprendenti risultati, almeno per i profani.
Il più significativo dei quali è la dimostrazione che il cervello subisce delle trasformazione dall’uso intensivo dei giochi.
In un caso: positivo, allorché la prontezza di riflessi e le capacità combinatorie visuali e spaziali si potenziano.
Ma nella maggior parte delle fattispecie: negativi, saldandosi con una dipendenza eccessiva dai meccanismi di ricompensa psicologica e con una propensione all’isolamento e all’ansia sociale.
Per tacere poi della riduzione dei freni inibitori alla violenza e alla sofferenza altrui, che viene vissuta con minore empatia e con spiccata indifferenza da chi pratica giochi violenti online, per poi recarsi nel mondo offline carico di un bagaglio di aggressività esaltata.
La preferenza verso le relazioni virtuali rispetto a quelle reali, l’incoraggiamento al cyberbullismo, il rischio di perdita di controllo sono costantemente in agguato. Un dato che pare sufficientemente assodato è la parentela della dipendenza da internet con quella di dipendenze ben più conosciute, come dalla nicotina, stupefacenti, alcol.
“I disordini da dipendenza sono correlati alla riduzione della capacità nel controllo degli impulsi, della flessibilità cognitiva, e della capacità di assumere decisioni in base all’appagamento”. “Ciò però che colpisce di più è che questa fenomenologia appare legata a trasformazioni delle parti del cervello preposte al controllo di questa funzione. Questi disturbi cognitivi e comportamentali affondano le radici in trasformazioni organiche e sviluppano propensioni genetiche”.
Ci dicono i neuroscienziati: “la predisposizione genetica all’uso problematico di internet e dei video games può essere correlata a un insufficiente dotazione di recettori della dopamina o a un’insufficiente quantità di serotonina e dopamina che possono rendere gli individui incapaci di ricavare piacere dalla maggior parte delle attività che la gente trova appaganti”.
Certo, la ricerca in questo campo si trova ancora in uno stadio aurorale, molto dovendo essere fatto per la raccolta delle prove e la ricostruzione dei legami causali.
Tuttavia lo stadio raggiunto è sufficiente per escludere che rivendicazioni di soggettivismo volontarista quali quelle fatte valere da Giorello e dal Giornale possano suonare plausibili.
Bisogna invece accettare l’idea che la tecnologia non sia affatto neutra ma possa produrre effetti sulla mente largamente indipendenti dalla consapevolezza e razionalità di chi li subisce, e tanto più insidiosi perché si presentano sotto una forma accattivante e seducente.