Il presidente Obama ha emanato un ordine nel quale impartisce il comando alle autorità federali di riaccendere i fari sulla concorrenza. Dico “riaccendere” perché, senza ironia, sulla concorrenza durante il suo mandato – salvo alcune rare eccezioni – è calato il buio pesto.
Mai come negli ultimi anni consolidamenti e concentrazioni hanno dato sfogo all’istinto primordiale delle imprese verso la riappropriazione della loro libertà primitiva, anche a costo di incorrere nella vituperata etichetta di monopolio.
Meglio tardi che mai, verrebbe quindi da commentare.
Sennonché l’annuncio è stato accolto con un giustificato scetticismo, in quanto per lo più la scoperta della riduzione costante dei margini della concorrenza, senza apprezzabili vantaggi per i consumatori, non sembra scuotere granché le coscienze degli osservatori.
Nell’ultimo Causeries ho già avuto modo di rimarcare la campagna inaugurata dal New York Times – giornale ufficiale dell’establishment – contro la Commissione europea per l’apertura dell’istruttoria sul caso Google–Android.
A quanto pare sono in molti a pensarla così se la vicenda è addirittura finita nei notiziari televisivi, accompagnata dall’ormai consueto mantra: si tratterebbe di un favore fatto ai concorrenti e non alla concorrenza, e soprattutto non ai consumatori.
Ma a questo punto qualcuno potrebbe alzare la mano e chiedere candidamente da che parte stia il torto e da quale la ragione: quale sponda dell’Atlantico sta sbagliando?
La mia risposta è, senza esitazione: quella americana.
L’attivismo dell’antitrust europeo ( e meritoriamente di quello italiano) sono pienamente giustificati da tre considerazione: una accezione civica e repubblicana della concorrenza che serve la logica della cittadinanza europea al pari di altri istituti come la libera circolazione delle persone e delle imprese; un spiccata vigilanza verso il pesante retaggio storico europeo del monopolio statale che deve essere tenuto a bada, in quanto sempre attivo sotto le ceneri, infine, una sensibilità verso le ragioni del consumatore che sono meglio servite dalla concorrenza, quand’anche artificialmente alimentata e coltivata in vitro, che da un oligopolio ristretto propenso ad estrarre rendite dalla sua posizione di forza priva di seri sfidanti.
E aggiungo che sarebbe un errore capitale suonare le trombe del consolidamento continentale per liquidare una filosofia dell’antitrust molto più matura e consapevole di quella americana dove, con buona pace delle teorie scientifiche che la sorreggono, l’andamento della concorrenza è pesantemente condizionato dagli umori dell’indirizzo politico governativo, il quale a sua volta non è immune da un supino appiattimento sulle principali lobbies industriali.
Un test importante sarà quello di vedere quale pressione eserciterà su Bruxelles l’amministrazione USA per proteggere Google, un’impresa ormai verticalmente integrata con settori importanti della difesa e della sicurezza di Washington e come tale, campione nazionale a tutti gli effetti.
E soprattutto sarà interessante osservare quale resistenza riuscirà ad opporre una Bruxelles non certo al massimo della sua forma e della popolarità.