Nella democrazia greca quando si voleva eleggere un organo di governo si procedeva al sorteggio. La ragione è chiara e lo ha ribadito Bernard Manin in un bel saggio sulla rappresentanza tradotto anche in Italia.
L’elezione porta con sé un elemento aristocratico-oligarchico – così pensavano gli antichi – poiché solo gli aristocratici con i loro mezzi economici, le loro clientele e le capacità retoriche sarebbero stati in grado di ottenere la maggioranza.
Tradotto in lessico odierno, si potrebbe dire che l’elezione porta con sé le stigmate dell’indirizzo politico che la scelta dell’elettore imprime.
Il sorteggio no.
Decide la Fortuna.
Non mi sono addentrato in questa disquisizione filosofica per il puro piacere di erudizione, ma perché l’attuale progetto sul conflitto di interessi in discussione alla Camera (relatore l’onorevole Francesco Sanna del Pd) sul conflitto di interessi, per ovviare a venti anni di polemiche sull’indipendenza delle autorità, prevede che i membri del nostro Antitrust (portati da tre a cinque) siano designati a maggioranza dei due terzi delle commissioni Affari Costituzionali delle due Camere, per poi essere eletti con voto limitato da ciascun ramo del Parlamento.
Al loro interno, i commissari sceglieranno il presidente.
Mamma mia!
Due giri di votazione, di cui la prima a due terzi, e poi una scelta secca su un nominativo: tre per la Camera, due per il Senato.
E questa sarebbe la discontinuità con la tradizione?
Cominciamo dal fatto che mettersi d’accordo con questi quorum è un rompicapo assodato, come attestano le autorità che, ahimè, vi si sono affidate in passato (docet Corte costituzionale o Autorità per l’energia e il gas).
E poi valutiamo la sostanza: se davvero sta a cuore tagliare il cordone ombelicale tra politica, danti causa delle lobby e commissari, questo non mi sembra davvero il modo migliore.
Alla fine bisognerà pure accordarsi.
Per concludere, l’alternativa sarà o lo stallo o la spartizione.
Non mi sembra un gran progresso.
Perché allora non assegnare invece ai capigruppo l’incombenza di designare una rosa di nomi qualificati all’interno dei quali la dea bendata, con un sorteggio rigorosissimo, farà la sua scelta?
Filosoficamente, è un metodo che sarebbe piaciuto a John Rawls e alla sua teoria della giustizia.
In una stanza buia, il fato compie una scelta su persone di cui si conosce soltanto la professionalità, requisito indispensabile, ma non la fisionomia.
Non vi sono volti e biografie suscettibili di rinviare a preferenze che il debole essere umano tende a nutrire; e che la prospettiva di gestire un potere così grande finirà per amplificare fino allo spasmo.
Sorteggio, quindi, e tra una rosa di persone qualificate.
Se si vuole entrare nel mondo della indipendenza ontologica questa è la strada. Indicata 2.500 anni fa.