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Causeries. Negli USA imprevisto cambio di passo sulla net neutrality

Net neutrality

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Dice Somerset Maugham che “l’ipocrisia è il vizio più difficile e snervante che un uomo possa coltivare in quanto richiede una vigilanza continua e una rara abnegazione.”

Non sono d’accordo.

Vi è chi convive con l’ipocrisia in assoluta naturalezza e per averne prova invito a guardare alle istituzioni nostrane – alcune in particolare.

Lascio maliziosamente aperta al lettore la curiosità su chi possa riguardare il de te fabula narratur e spero che egli mi perdonerà, magari trovando il gioco divertente (La Fontaine faceva così: un gigante di cui sono modestissimo, umilissimo nonché assai inadeguato ammiratore).

Ebbene: chi di voi non ha sentito deplorare la politicizzazione e visto praticare la più spregiudicata lottizzazione del potere; chi non ha ascoltato l’elogio stentoreo della meritocrazia occidentale, smentito un attimo dopo dalla molto orientale idolatria della satrapia e dei diletti dell’harem; chi non ha assistito all’autodafé del conflitto d’interessi (degli altri) salvo il pudico occultamento (del proprio); chi infine non ha sbadigliato di fronte alla piagnucolante dichiarazione di impotenza dei responsabili, al cospetto della smaccata evidenza (“ma io sono in minoranza! Se no, caro Lei…”).

Fantasie?

Ahimè lo vorrei; ma purtroppo, mio malgrado, hypoteses non fingo.

Per quanto sembri sconcertante, il classico monito quousque tandem abutere patientia nostra è inane. Fino a che non giunga l’epilogo distruttivo sotto forma d’ impietosa cronaca a dominare è l’ipocrisia, scudo del senso di impunità: di gran lunga il peggior nemico dell’uomo.

Eppure direte: non si affermava un tempo che il regno dell’ipocrisia erano gli Stati Uniti degli WASP protestanti? Certo, è vero in una certa misura, visto dall’osservatorio della smaliziata tolleranza cattolica di noantri. Le vicende quotidiane di oltreoceano della razza, delle banche, della politica internazionale soccorrono a ricordarcelo.

Con alcune notevole eccezioni però, di cui bisogna dare diligentemente conto.

Tra queste si staglia la Federal Communication Commission.

Proprio nessuna ipocrisia, davvero, alberga da quelle parti.

Repubblicani da un lato, democratici dall’altro; lobbies con nomi e cognomi; interessi, strategie: tutto alla luce del sole.

Beati loro….e chapeau ai fondatori: Hamilton, Madison, Jackson.

Piomba ora a ricordarcelo la breaking new di questa settimana.

Udite udite: i repubblicani al Congresso hanno infine capitolato: viva la net neutrality!

Sommersi da una marea di proteste dei loro elettori, hanno dovuto rassegnarsi a sposare l’esecrato Obamacare di internet.

Vittoria della virtù sul vizio?

Ma nemmeno per sogno!

Apertamente la mossa repubblicana è quella di riconciliare i propri elettori senza alienare i ricchi finanziatori (l’industria del cavo etc. etc.).

E quindi?

Provare a passare in Congresso una legge sulla net neutrality spogliando la FCC dell’opportunità di adottare un regolamento. L’industria plaude, faute de mieux. Meglio il male minore di una legge, piuttosto che un regolamento dalle ricadute imprevedibili e soprattutto modificabili.

E il cittadino?

I suoi milioni di messaggi non sono stati per nulla inutili. In ogni caso avrà la sua net neutrality: più blanda in un caso, più forte in un altro.

In ogni caso ne uscirà vincitore.

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