#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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In questi giorni, complice la crisi greca, ci imbattiamo un po’ dappertutto in diagnosi sulla fine della sovranità statale e sulla interdipendenza nel postmoderno 2.0. La sentenza che viene profferita è che lo Stato è morto e così la democrazia: a che servono oggi le elezioni se tutto viene deciso da una tecnocrazia impersonale?
In tutto questo discorso ricorre da una parte una componente ideologica, dall’altra ignoranza storica.
Circa la prima, vi è chi guarda con favore a questo sviluppo considerando la forma di governo oligarchica (il governo dei tecnici) come assai superiore a quella c.d. demagogica di matrice popolare. E’ da tempo che lo Stato viene screditato in nome della massima che il potere non spetta a chi viene scelto ma a chi ha la competenza per esercitarlo ed ogni occasione è buona per trovare conferma di questa presupposizione.
Ma è sulla seconda componente che voglio soffermarmi. Quella che consiste nel ritenere che ciò cui assistiamo oggi sia una novità nella concezione della sovranità, o piuttosto nella sua liquidazione. Nient’altro che un abbaglio nonché un puro e semplice anacronismo storico.
In realtà le periodiche limitazioni della sovranità sono un déjà vu.
Dopo la prima guerra mondiale, nel 1922, la Società delle Nazioni, fu impegnata nelle operazioni di salvataggio o soccorso finanziario di una quantità di Stati nati dal trattato di Versailles che furono letteralmente commissariati in una forma niente affatto più blanda della troika. Il proconsole Zimmermann a Vienna ordinò il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti pubblici e mise sotto tutela le finanze austriache. La cura fu draconiana ma l’Austria riuscì a risollevarsi. Seguirono interventi incisivi, anche se meno drastici, anche in Ungheria, Estonia, Jugoslavia Bulgaria, Polonia a e Romania.
E se questa era la dimensione istituzionale dell’intervento di soccorso finanziario di un’organizzazione internazionale – la Società delle Nazioni, appunto – non meno penetrante appare quella informale della finanza americana che diviene, proprio negli anni Venti, protagonista della diplomazia europea.
Il piano Dawes, che nel 1924 rimise in sesto la Germania, fu orchestrato dalla banche americane che detenevano un forte debito francese ed avevano pertanto la leva per indurre Parigi a più miti consigli verso Berlino. Il frutto principale e ancora ricordato negli annali della diplomazia furono gli accordi di Locarno del 1925.
Pertanto quando si sostiene che oggi lo Stato non abbia più ragion d’essere, che la sovranità sia un concetto arcaico, che nelle relazioni internazionali postmoderne le nazioni non contino più si scivola in una grossa esagerazione. Fornendo tra l’altro l’alibi a chi ritiene che poiché lo Stato non è più rilevante, tanto vale rinunciare a riformarlo. La verità invece è che la sovranità statale non è mai stata assoluta, nella realtà, e che la competizione politica e giuridica tra ordinamenti richiede un costante sforzo di ammodernamento. Poiché lo Stato nel tempo si trasforma, ma non muore, anche quando sembra singolarmente impotente.