#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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La dottrina giuridica italiana vanta il discutibile primato di essere tra le più noiose ed oscure dell’Occidente. Un primato che contende accanitamente ai tedeschi, i quali peraltro possono addurre a parziale giustificazione della notoria pedanteria una lingua che richiede al lettore di andare a caccia del verbo alla fine della frase.
Pertanto quando capita tra le mani un libro accattivante per stile ed argomento è quasi un dovere segnalarlo. Il turno tocca oggi alla raccolta di saggi di Tommaso Frosini, distinto costituzionalista comparato, dal titolo Liberté, égalité, internet (Editoriale scientifica, Napoli, 2015, 186, pp.).
L’autore per nostra fortuna ha una tesi chiara e forte che presenta senza giri di parole: la rete e la tecnologia che la sostiene sono uno strumento di affrancamento individuale. L’ottimismo trapela in modo evidente, ponendo questo testo agli antipodi della concezione pessimista, oggi forse in leggero vantaggio.
L’ideologia dell’autore, più che liberale, appare libertaria, e lo rende pertanto assai disponibile nei confronti di un mezzo che esalta l’individualismo, sprigionando potenzialità fino a ieri inimmaginabili.
Ma è declinabile questo individualismo tecnologico in un catalogo di diritti? La risposta è affermativa, sulla scorta di una importante giurisprudenza, domestica prima ancora che europea, la quale ha permesso di articolare concetti atavici e un po’ spenti – la dignità, ad esempio – in formule assai innovative.
Prendiamo ad esempio il rapporto tra il tempo e l’immagine della persona, la quale si costruisce all’interno dello spazio relazionale (anche virtuale). Ebbene, la Cassazione italiana ha posto due alternative per salvaguardare la dignità: o l’oblio; o l’aggiornamento. Insomma, quella che l’autore chiama la contestualizzazione storica, sottolineando come sia fondamentale conquista il riconoscimento del diritto della persona a riflettere la propria immagine in uno specchio che gli appartiene.
Quindi la giurisprudenza si è mostrata all’altezza delle sfide, anche quando – come nel caso Google v. Spain – si è trattato di piegare una multinazionale americana a regole europee.
Non vi sono pertanto discontinuità rispetto ai classici del pensiero giuridico liberale sulla privacy, le cui dottrine aleggiano senza difficoltà in una cultura giudiziaria dei diritti che trova Frosini largamente assonante. Ma la parte del discorso che riscostruisce il diritto individuale come libertà negativa non esaurisce la questione.
Segue la parte dedicata alla libertà positiva, ossia al potere di comunicare. Su questo punto Frosini parla correttamente di diritto di partecipare alla società virtuale. Una formula suggestiva che però rinvia a un passo ulteriore, ovvero alla domanda: quale diritto? L’autore evoca senza mezzi termini la definizione di diritto sociale e qui – ahimè – trova il recensore un po’ freddo.
Il servizio universale è una cosa; ben altra la ricostruzione come diritto di uguaglianza dell’accesso a internet. Il primo procede da un’inadeguatezza del mercato; il secondo da una forte dilatazione del già assai affollato catalogo di diritti sociali (più declamati che rispettati). Bisogna fare attenzione su questo punto perché il libertario Frosini rischia di fare rientrare dalla finestra l’eteronomia che ha espulso dalla porta. Complice questa ambiziosa qualifica giuridica, gli Stati potrebbero impiegare ben poco per rimettere le mani in un campo sottratto con enorme fatica alle grinfie burocratiche. Non è forse da liberali credere un po’ di più nella spontanea dinamica del mercato? Con questo caveat, tesi, ispirazione e respiro del libro sono senz’altro condivisibili e commendevoli.