Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
Il tecno-pessimismo ha preso piede da qualche tempo e a giusto titolo.
Ma non si può ignorare il dato che i veggenti di questa degenerazione nichilistico-tecnicista dove il fuoco che Prometeo ha ceduto agli uomini come volontà di potenza è stato a sua volta abbandonato a una tecnica che tradisce il suo dante causa – nullificandolo – hanno lanciato il loro grido di allarme con largo anticipo. Più di mezzo secolo fa.
Il pensiero corre subito ad Heidegger che aveva previsto la morte della metafisica e dell’essere, schiacciato da una tecnica priva di telos e onnipotente.
Ed Heidegger era in buona compagnia: Spengler, Ortega Y Gasset…e Ernst Junger di cui mi occupo oggi.
La ragione è la pubblicazione di una bella raccolta di saggi a cura di Luigi Iannone (Ernst Junger, Solfanelli, 2015) in cui sono raccolti contributi importanti di cui chi si occupa di tecnologia non dovrebbe ignorare l’esistenza proprio perché – me lo si conceda – parte in causa.
Il punto infatti è che la tecnica, la quale a differenza della scienza tende a non interrogarsi su se stessa, oggettiva come un rullo compressore il suo autore, l’uomo, per omologarlo, livellarlo, privarlo dell’anima e dell’individualità.
Dice Renato Cristin che una metatecnica ha spodestato la metafisica dettando in una totale autoreferenzialità linguaggi, spazio, tempo, comportamenti.
“Detto in termini culturalmente radicali e filosoficamente precisi, lo specialismo tecnico e la comunicazione compulsiva sono diventati veicoli del nulla”: Neutralità equivale ad assenza di scopo e in mezzo ci sono gli individui avviati verso un servaggio che conduce all’autodistruzione.
Vengono trasformati senza che nemmeno se ne accorgano.
Riduzione nichilistico-materialistico- degenerativa, suona il verdetto.
Tutto è perduto allora?
Innanzitutto per avere un rapporto reale con la tecnica occorre essere qualcosa di più di un tecnico.
Tanto più che la tecnica, diversamente dalla scienza, “rimane oscura a se stessa e non riesce a comprendersi nello spazio storico che ha contribuito a tratteggiare”.
Il verdetto di Heidegger, lo sappiamo, è senza appello: la corsa dell’uomo verso la distruzione.
Diverso il discorso per Junger.
Se la premessa è la stessa, ossia il riduzionismo alla tecnica e la morte della metafisica, altra è la conclusione.
L’”uomo ridotto ad oggetto”, l’impero del materialismo nichilista, la vittima dell’automatismo, può trovare una via – stretta assai – di riscatto.
Sottrarsi alla “fascinazione della tecnica” addentrandosi nel bosco, dove il bosco è metafora del recupero della visione e dell’identità.
Non tecno-pessimista ma tecno-critico quindi Junger, in quanto pensa che l’uomo possa recuperare il proprio io attraverso una presa di distanza.
La parola chiave è libertà che la persona può riprendersi con un impegno, un impegno titanico va detto, perché in gioco è “la sfera di proprietà dell’io” da coltivare con una cura sistematica dello spirito.
Ho parlato all’inizio di veggenti.
“Poiché il veggente ha sorpassato il presente, egli ha raggiunto una posizione di pensiero da cui cogliere nel presente le tracce dell’avvenire”.
Filosofi!
Bah, direte, un lusso di questi tempi tumultuosi di celebrazione quotidiana della galoppata sfrenata della tecnica.
Ma i neuroscienziati non ci stanno dicendo le stesse cose da un pulpito che è quello…..della tecnica?
Prestare attenzione, allora.