Paradigma è, secondo la celebre definizione di Thomas Kuhn, il modello che la scienza assume e utilizza come spiegazione di fenomeni reali.
Quando la teoria non riesce più a spiegare in modo esauriente la realtà, è il sintomo che il paradigma è entrato in crisi e deve essere soppiantato.
Questa dinamica riguarda le scienze dure come le scienze sociali, diritto ed economia incluse.
Quello che sta avvenendo è appunto una lotta di paradigmi che riguarda direttamente l’antitrust. Basata su un modello utilitaristico, dove l’assunto è quello di un comportamento razionale dell’individuo, dal quale sono bandite tanto le emozioni quanto la preoccupazione per il bene pubblico, la scuola di Chicago perde vistosamente colpi.
A sfidarla è il modello behaviorista che, forte dell’apporto delle scienze cognitive, smantella proprio il presupposto della razionalità e quindi della prevedibilità del comportamento umano (su questo conflitto si veda il fondamentale Oxford Handbook of Behavioral Economics and the Law, a cura di E. Zamir e D. Teichman, Oxford, 2014).
Le conseguenze di questa pugna non sono di poco momento perché, ancorché non ancora sedimentata, questo nuovo paradigma rischia di detronizzare l’homo oeconomicus a favore di un soggetto meno egoista e più cooperativo con i suoi simili.
Novità assoluta?
Non proprio.
Leggendo bene Adam Smith si scopre come l’autore considerato precursore della meccanica degli interessi e degli incentivi utilitaristi, coltivava una visione assai più articolata del soggetto.
Nella Teoria dei sentimenti morali, una volta ammessa la natura egoista dell’uomo, egli aggiunge subito che il self esprime un forte istinto a guardare l’altro, ad indentificarvisi, ad essere simpatetico con le passioni: “la parola simpatia può essere usata per denotare il nostro sentimento di partecipazione per ogni passione, quale che sia”.
Dice Pietro Costa, un acutissimo critico di Smith, “la relazione intersoggettiva non è quindi il ‘fuori’ contrapposto al ‘ dentro’: è un gioco interattivo dove ciascun attore cerca la comprensione e la complicità del proprio pubblico” (Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, V. 1, Laterza, 1999). Non è behaviorismo certo, ma non è nemmeno l’utilitarismo di una meccanica composizione degli interessi in nome del principio della retribuzione.
Quali conseguenze in concreto di tale svolta scientifica?
Per l’antitrust europeo, ben poche, visto che (fortunatamente) non ha mai preso troppo sul serio la scuola di Chicago, assumendo invece a proprio fondamento una concezione repubblicana e interventista del proprio ruolo.
Devastante invece per l’antitrust americano dove la scuola di Chicago ha contribuito non poco a fornire basi credibili al ritrarsi della concorrenza entro un perimetro circoscritto. Con conseguenze non particolarmente brillanti per lo stato della competizione in quel paese.