Esiste un legame tra tecnologia e magia?
Secondo Le Monde sì: su due piani.
Il primo è quello metaforico del linguaggio. Il secondo scaturisce invece dalla perdita di controllo sul funzionamento di oggetti di cui si ignora completamente il funzionamento.
Tutto qui?
Ho l’impressione che l’interessante articolo (“Les technologies, entre magie et perte de controle”) perda per strada qualcosa: ossia la dimensione archetipica di un richiamo a un mondo di segreti che ci affascina e sovrasta.
Mi riferisco ai lavori di Mircea Eliade e di Roger Caillois come al concetto di archetipo di Jung.
Non è che in questa misteriosa tecnologia rivivano inconsciamente bisogni mai interamente sopiti di accostarsi all’imperscrutabile?
Se fosse così ci troveremmo di fronte a un paradosso.
La tecnologia che dovrebbe segnare il trionfo della razionalità e della assoluta padronanza dell’uomo sulla natura, rievocherebbe paure, presentimenti, esigenze di rassicurazione che tutto sono fuorché razionali. Del resto, l’antropologia e la psicologia dell’inconscio anche a questo servono: a smascherare dietro la narrazione, pulsioni innate che si ripropongono sotto una facciata diversa ma sono riconducibili a un passato ancestrale che non è davvero tale, che non è del tutto estinto.
E’ un fatto assodato che chi usa la tecnologia lo fa senza interrogarsi su come funziona, sulle leggi alle quali obbedisce.
E non è forse questo un atteggiamento che richiama un antico rapporto con il mondo mediato dalla magia?
Allargando il discorso, questo spiegherebbe la stupefacente simbiosi tra una tecnologia ipersofisticata e un senso del religioso totalmente numinoso, privo di qualsiasi ancoraggio con la razionalità.
Forse nostalgia per qualcuno delle origini iniziatiche e avvolte dal mistero accentuata dall’atomizzazione tecnologica?
Viene spontaneo il dubbio guardando il contrasto tra progresso della macchina e regressione della fiducia nella persuasività del discorso al quale si oppone un fideismo cieco che può, qui e là, degenerare in violenza cieca.